Lavoro presentato da:
Pisano
R., Ragone G., Rossi M., Russo A.
facenti parte del
Gruppo
S.I.C.S.I, Indirizzo F.I.M., DM2, Università degli studi di Napoli
Federico II

1. Introduzione
alla tecnica del Problem Solving
L’attivita’ di
problem posing1
e di problem solving non devono essere identificate con quella
di risoluzione di esercizi applicativi; esse sono attività più
complesse. Gli esercizi applicativi possono essere risolti
utilizzando concetti e regole già apprese, mentre la soluzione di un
problema nuovo richiede capacità decisionali e l’utilizzazione di
procedure e di strategie da scoprire. La strategia di risoluzione di
un problema comporta l’esplorazione di regole (esperienze,
procedure, leggi,...), l’analisi della situazione da più punti di
vista, l’utilizzazione di regole anche nuove e la capacità di
valutare la risolubilità del problema stesso.
Il problem solving
potrebbe essere definito come un approccio didattico teso a
sviluppare, sul piano psicologico, comportamentale ed operativo,
l'abilità di soluzione di problemi. Generalmente il problem solving2
è associato allo sviluppo delle abilità logico-matematiche di
risoluzione di problemi. Tuttavia questi non si rivela l'unica area
didattica che può giovarsi di dette abilità: problem solving, in
un’ottica interdisciplinare, può dire uso corretto dell'abilità
di classificazione di situazioni problematiche e capacità, quindi,
di risolvere problemi-tipo analoghi, siano essi pertinenti all'area
logico-matematica o meno (Web). Quindi, alla fine esso è un metodo
di ricerca e di scoperta, che può comunemente essere applicato nelle
diverse aree didattiche. Inoltre il metodo di soluzioni dei problemi,
del quale il problem solving è una sfaccettatura, pone, come nucleo
operativo, la scoperta ed il dominio di situazioni problematiche in
generale, che possono sviluppare le potenzialità euristiche
dell'allievo, e le sue abilità di valutazione e di giudizio
obiettivo.
“ll problem
solver strategico è come un esperto marinaio
che, in mezzo all'oceano, cerca di
prevedere e
programmare le proprie azioni sulla base
delle condizioni del mare in quel
momento. Deve
prevedere l'insorgere di imprevisti e prepararsi
ad affrontarli confidando soltanto
sulla sua "consapevolezza
operativa", non sul controllo
assoluto degli eventi. Non solo, ma egli
non conosce e
non può conoscere né la profonda verità del mare
né tantomeno il perché dei suoi
mutamenti. Eppure
con questa sua conoscenza limitata al
"come fare" attraversa gli oceani e fronteggia
le tempeste adattando sempre il suo agire
all'evolversi degli eventi”. (La
terapia dell'azienda malata, 2000)
Il metodo della
didattica per problemi consente agli allievi di apprendere a
risolvere, con gradualità, problemi sempre più complessi che
permettono allo studente di acquisire abilità cognitive di livello
elevato. Un problema può essere una domanda che richiede una
risposta precisa ed esauriente, oppure, un quesito che richiede
l’individuazione o la costruzione di regole e di procedure che
soddisfino condizioni predefinite e consentano di risolvere il
quesito stesso.
Riteniamo che la
didattica per problemi abbia una cruciale valenza educativa-formativa
e consenta di far acquisire ad ogni allievo gli obiettivi didattici
pre-fissati (a livello disciplinare o pluridisciplinare). L’attività
di insegnamento-apprendimento per problemi deve consentire a ciascun
allievo di:
- Ricercare dati ed informazioni;
- Fare stime e calcoli ...;
- Formulare ipotesi risolutive;
- Proporre soluzioni;
- Prendere decisioni.
La didattica per
problemi deve essere intenzionale e funzionale rispetto agli
obiettivi educativi e didattici da conseguire, in termini di
conoscenze, competenze e capacità. Durante la
soluzione di un problema l’allievo deve essere messo (dal docente)
in condizione di scoprire (e ri-scoprire) ed acquisire,
autonomamente, conoscenze nuove. E’importante
sottolineare che, in questo tipo di didattica, devono essere
rispettate alcune regole fondamentali di relazione:
- I problemi non devono essere imposti, in modo direttivo, ma essere discussi e condivisi dal gruppo classe e/o nei piccoli gruppi;
- I docenti assumono la funzione di guida metodologica, di assistenza e di consulenza per ciascun allievo o per il gruppo di alunni impegnato nella soluzione del problema.
- Il docente svolge le funzioni di tutor;
Inoltre
la didattica per problemi consente il conseguimento dei seguenti
obiettivi per ciascun allievo:
a) Apprendere ad
organizzare in modo significativo le proprie conoscenze;
b) Apprendere a
valutare l’utilità delle conoscenze acquisite, rispetto agli
obiettivi prefissati in termini di conoscenze, competenze e
capacità;
c) Sviluppare
l’attitudine ad affrontare problemi nuovi ed imprevisti e a
trasferire le conoscenze acquisite in contesti diversi (transfer);
d) Decidere in
condizioni d’incertezza oltre che di certezza;
e) Sviluppare la
capacità di dominare situazioni anche complesse;
f) Apprendere ad utilizzare
appropriati metodi di comunicazione oltre che di documentazione;
g) Apprendere ad
apprendere.
Quando un allievo
s’imbatte in un problema, inizialmente ne sa molto poco, ma potrà
diventare esperto di quel particolare problema, formulando ipotesi
risolutive, seppure inadeguate ed insoddisfacenti, criticando,
rivedendo ed affinando le ipotesi stesse, dopo averle messe alla
prova.
Comprendere
un problema, quindi, significa capirne le difficoltà, tentare di
risolverlo con un’applicazione tenace e responsabile, con
perseveranza e gratificazione intellettiva, legata alla soluzione del
problema stesso.
Con tale metodo si possono sviluppare alcuni aspetti fondamentali
della personalità quali:
1) La responsabilità,
2) L’autonomia,
3) La fiducia in sé,
4) La stima di sé,
5) La cooperazione con
gli altri,
6) La solidarietà,
7) Le capacità
decisionali.
L’attività
didattica deve essere progettata e programmata collegialmente facendo
in modo che gli allievi risolvano i problemi in piccoli gruppi,
costituiti ad es. da cinque studenti. I problemi possono essere
scomposti in sottoproblemi, più semplici da risolvere. I gruppi
scelgono un loro referente che illustra ai componenti degli altri
gruppi le procedure che hanno consentito la soluzione del problema.
In tale fase, la funzione del docente consiste nell’insegnare agli
allievi del gruppo classe a trovare la soluzione o le soluzioni
(anche quelle non ottimizzate) del problema. Generalmente un problema
ne genera un altro: la soluzione di un problema può essere, infatti,
il presupposto per la posizione di un altro. Il filosofo ed
epistemologo K. Popper sostiene che
“[…] la ricerca
scientifica consiste nel risolvere problemi”, […] la vita è
costituita da problemi da risolvere” e, quindi, che“ apprendere a
risolvere problemi significa apprendere a vivere […]’’
(Popper K.).
1L’attività di problem posing consiste nel concettualizzare un problema, mediante una riflessione sulla situazione problematica nella quale l’allievo s’imbatte.
2 Ad onore del vero, oltre ai testi citati in bibliografia, abbiamo consultato, sebbene non specificatamente citati, molti siti Web che trattavano in maniera più o meno esaustiva gli argomenti di cui sopra. Il loro non totale riporto in bibliografia, e di questo ci scusiamo con il lettore, è dovuto alla mancanza, in molti casi, di una sistematizzazione bibliografia dei contenuti esposti dai siti stessi. Pertanto, con la sigla Web, indicheremo il riferimento bibliografico consultato in rete diversi da quelli suggeriti dal Prof. Tortora.
2.
Cenni sul problem solving di tipo metacognitivo
Recenti studi (Web) sono
proiettati all’applicazioni di risoluzioni di problemi mediante un
approccio definito come problem solving di tipo metacognitivo; esso
tende ad essere, rispetto al metodo classico di cui sopra,
un'espansione applicativa.
La
routine del problem solving prevede diversi momenti, durante i quali
possono essere sviluppati diversi processi di controllo propri delle
abilità metacognitive.
Di seguito, sintetizziamo le principali relazioni che sussistono tra
la tecnica del problem solving e le attività metacognitive che
accompagnano l’uso di tale tecnica.
Il problem solving
metacognitivo diviene quindi un palestra per l'abilità di
autoregolazione poiché, in modo sempre più puntuale, i ragazzi
saranno in grado di monitorare i processi e di valutare i gradi di
utilità, necessità ed appropriatezza dei diversi processi
risolutivi, nonché di classificare le rappresentazioni personali di
procedure, ed attiveranno positivi transfer degli apprendimenti
(Varriale).
Tab. 1 relazione tra il problem solving e le attività metacognitive di controllo
PROBLEM SOLVING
|
ATTIVITA' METACOGNITIVE DI
CONTROLLO
|
Comprensione |
Prima di
lavorare rifletti:
Quello che
vai ad affrontare è proprio un problema?
Cosa sai su come si fa? Hai incontrato problemi simili? |
Previsione |
Prima di
lavorare prevedi:
Cosa ti può
aiutare?
Quanto tempo hai? Di quali/quanti strumenti hai bisogno? Qual è l'ambiente in cui svolgerai il compito? |
Pianificazione |
Organizzati:
|
Monitoraggio |
Mentre
svolgi il compito risolutivo controlla:
|
Valutazione |
Quando
hai risolto il problema, guarda indietro:
|
2. Il metodo della
didattica per problemi si fonda sulla motivazione ad apprendere.
L’intuizione intesa come
conoscenza diretta ed immediata della realtà, di un fenomeno, di una
situazione, può giocare un ruolo importante nella soluzione di un
problema. Le difficoltà, per l’alunno, possono presentarsi in una
delle seguenti fasi:
a) Lettura del problema,
b) Comprensione del
problema,
c) Applicazione di
procedure risolutive,
d) Codifica della
risposta.
Le fasi di risoluzione di un
problema, invece, possono essere le seguenti:
1) Presentazione del
problema,
2) Riflessione sul
problema,
3) Soluzione del
problema,
4) Discussione in gruppo
(brain storming).
Nella soluzione di problemi
intervengono anche processi metacognitivi quali:
a) l’analisi delle
proprie conoscenze,
b) la loro utilizzazione
pratica.
Durante la tecnica del
PS può essere adottato il metodo del brain storming.
Esso può essere utilizzato dal docente per animare i lavori di
gruppo, soprattutto nella fase in cui si discute la soluzione di un
problema. Per semplificare la risoluzione di un problema si ricorre
ad una sua modellizzazione ossia ad una sua rappresentazione
euristica, che ne riproduce le caratteristiche essenziali. Il
modello interviene in due fasi relative alla soluzione di un
problema:
- Quando dal modello si passa a ciò che il solutore deve fare per risolvere il problema,
- Quando dalla situazione problematica reale si arriva alla costruzione di un modello risolutivo.
Il modello preliminare
alla soluzione di un problema può essere un modello già
strutturato, oppure un modello formato solo in parte e, quindi, in
via di formazione completa. Il modello può essere adeguato per
risolvere il problema oppure non è adeguato del tutto o solo in
parte, per giungere alla soluzione del problema. Esiste una varietà
di modelli, articolati in fasi, per il problem solving. Secondo
alcuni studiosi (Web) per il modello
tipo classico si possono articolare quattro fasi:
- Fase iniziale: il solutore tenta di comprendere di che cosa tratta il problema che ha di fronte e che cosa deve fare;
- Fase di attacco: il solutore saggia una prima ipotesi di soluzione, che può condurlo in porto o no; in quest’ultimo caso deve riformulare le ipotesi;
- Fase di controllo: il solutore confronta la propria soluzione con lo stimolo posto dal problema, per valutarne l’efficacia;
- Fase di estensione: la soluzione di un problema dovrebbe portare alla formulazione di un altro problema.
Inoltre in tale modello
l’attività di problem solving è influenzata da condizioni esterne
e da condizioni interne. Le condizioni esterne sono costituite da:
a) Stimoli verbali e non,
b) Indicazioni, direttive
finalizzate a favorire la concettualizzazione del problema,
c) Istruzioni che hanno
la funzione di agevolare la soluzione del problema.
Le condizioni interne
sono legate alle differenze individuali e dipendono dalla:
- Quantità di informazioni immagazzinate,
- Facilità di richiamare alla memoria le informazioni stesse,
- Capacità di selezionare i concetti,
- Flessibilità nel formulare ipotesi,
- Capacità di saper confrontare il caso specifico con il caso generale.
3.
Modellizzazione della tecnica del Probem solving
Contributi al problem
solving vengono dalle teorie psicologiche come la gestalt, il
comportamentismo, il cognitivismo (Polmonari, 245-261) e dalle
scienze dell’informazione (metodo top down e bottom up (Booch;
Cantor; Pisano R.). A questo punto per una rapida e
globale visione dell’approccio metacoglitivo riportiamo i seguenti
digramma B. e C. che specificano solo passi operativi (tralasciando
quelli cognitivi).
4. Il problem
solving nell’insegnamento della matematica. Piccola sintesi
dell’interpretazione di Poyla
L’attività’ di
problem solving ha una sua specifica applicazione in matematica.
Secondo il matematico George Polya (Poyla) la risoluzione di un
problema si sviluppa in quattro fasi:
Ÿ
Comprendere il problema,
Ÿ
Ideare un piano per trovare la soluzione,
§
Eseguire il piano,
§
Verificare e valutare il procedimento e controllare il risultato.
Si possono distinguere
tre aspetti relativi alla strategia di risoluzione dei problemi:
a) Come si presenta il
problema,
b) Come interagiscono le
caratteristiche del contesto problematico con le conoscenze ed i
modelli di ciascun solutore,
c) Come sono analizzati i
problemi e come il solutore stesso analizza la propria struttura o
matrice cognitiva.
Risolvere un problema
matematico implica la trasformazione della struttura conoscitiva del
solutore da uno stato iniziale “i” ad uno stato finale “f”,
come avviene per il processo d’apprendimento in generale.
Nell’attività’ di problem solving il docente valuta:
1. Il tempo impiegato
nella soluzione del problema,
2. La precisione, in
altre parole, la qualità e la quantità di errori commessi (analisi
dell’errore).
Nell’attività di
risoluzione di problemi l’allievo deve acquisire le seguenti
competenze intese come esiti in uscita:
- Comprendere il testo di un problema,
- Individuare i dati essenziali,
- Individuare quelli mancanti,
- Individuare relazioni e corrispondenze,
- Costruire relazioni e corrispondenze,
- Utilizzare in modo consapevole tecniche e procedure di calcolo,
- Sviluppare algoritmi risolutivi,
- Controllare la validità degli algoritmi risolutivi individuati o costruiti,
- Matematizzare il problema da risolvere, attraverso processi di generalizzazione e di simbolizzazione, questa operazione riduce l’effetto della complessità,
- Padroneggiare modelli risolutivi in condizioni di certezza e in condizioni d’incertezza,
- Utilizzare gli strumenti informatici a disposizione,
- Allenarsi al rigore e alla precisione mentale,
- Comprendere e utilizzare i codici formali.
In particolare: in merito alla
concettualizzazione di un problema matematico (mathematical problem
posing) può essere utile servirsi delle tabelle seguenti:
Dato il testo di un problema |
Individuare
i dati utili alla sua risoluzione.
|
Dato il testo di un problema |
Individuare gli eventuali dati che lo rendono ambiguo |
Data una
situazione problematica
|
Individuare
il problema che la rappresenta e gli elementi utili per la sua
risoluzione.
|
Dato un
enunciato
|
Individuare
ipotesi, conclusioni e l’ambito di applicabilità del problema.
|
Relazioni tra dati:
Dato il testo di un problema |
Organizzare i dati in una tabella |
Dato il testo di un problema |
Organizzare i dati in un diagramma |
Data una situazione problematica |
Organizzare
le relazioni dirette e inverse tra i dati
|
Dato un enunciato |
Organizzare
relazioni astratte di tipo simbolico tra dati.
|
Metodi risolutivi. Determinare
un algoritmo che permetta d’individuare un risultato controllandone
i limiti di validità o di pertinenza:
Dato il testo di un problema |
Risolvere il problema con un metodo intuitivo |
“
|
Risolvere
il problema per analogia.
|
Data una situazione problematica |
Risolvere
il problema con il metodo delle approssimazioni successive.
|
Dato l’enunciato di un problema |
Risolvere
il problema con metodi grafici (compreso il metodo geometrico.
|
“ |
Risolvere
il problema con metodi algebrici
|
“ |
Risolvere
il problema con metodi informatici
|
“ |
Risolvere
il problema con metodi misti.
|
5.
Applicazione del problem solving. Il caso studio dell’ “le dita
del marziano”.
Supponiamo di
riuscire un giorno a contattare un marziano proponendogli di
risolvere una semplice equazione:
x2
- 16 x + 41 = 0
Se lui ci dicesse
che la differenza delle radici vale 10, quante dita avrebbe il
marziano?
La finalità didattica
che si vuole raggiungere con un problema di questo tipo è la
comprensione dell’importanza dei sistemi di numerazione e del
cambiamento di base. Non è tutto! Risolvere problemi del genere
interessa anche un’altra sfera matematica, l’algebra, ed in
particolare la scomposizione di trinomi di secondo grado nonché la
risoluzione di equazioni di secondo grado e sistemi di equazioni di
primo grado a due incognite. Sarà compito dell’insegnante
indirizzare gli allievi verso la soluzione più consona agli
obiettivi didattici prescelti. Precisiamo che tale attività
didattica si pone come verifica di apprendimento delle nozioni di cui
sopra1.
Un primo ingenuo
approccio a questo problema è risolvere l’equazione data con la
formula risolutiva nota per cercare le due radici x1
ed x2
e verificare che la loro differenza è 10.
Facendo in questo modo
ci si accorge in breve tempo che “i conti non tornano”…
le due radici non sono numeri interi e la loro differenza non è 10!
- Come risolvere allora il problema?
- Qual è il nesso che lega le soluzioni dell’equazione data con le dita del marziano?
Questo è il
suggerimento che daremmo alla scolaresca per instradarli verso la
risoluzione del problema.
: A
questo punto daremmo libero sfogo all’intuizione dei ragazzi
limitandoci esclusivamente a fare da mediatori instradandoli verso la
soluzione più congeniale agli insegnamenti che desideriamo
trasmettere agli alunni. Volendo richiamare i concetti di risoluzione
e scomposizione di equazioni di secondo grado, sistemi di
numerazione, cambiamento di base e risoluzione di sistemi di
equazioni di primo grado a due incognite, la soluzione da noi
proposta è la seguente:
SOLUZIONE 1.
La chiave sta nel
capire che il numero di dita del marziano corrisponde alla base del
suo sistema di numerazione. Si tratta, quindi, di individuare qual è
la base B, esprimendo con la quale i numeri, si riesce a soddisfare
la condizione dettata dal problema. Innanzitutto possiamo dire che si
tratta di una base maggiore di 6 visto che la cifra 6 compare
nell'equazione.
Facciamo
prima un piccolissimo richiamo sulle equazioni di 2° grado.
Supponendo che le radici di un’equazione siano a e b e che il
coefficiente di x2
sia unitario, l’equazione può essere riscritta in questo modo:
(x
- a) (x - b)=0
cioè:
x2
- (a + b) x + a b = 0
ossia
si ha che il coefficiente di x è uguale alla somma delle radici
cambiata di segno e il termine noto è il prodotto delle due radici.
A questo punto, visto che conosciamo i coefficienti dell'equazione,
possiamo scrivere (denotando con B la base di numerazione del
marziano espressa in base 10 e supponendo a>b ):
Sommando
membro a membro le equazioni I e III si ottiene:
2a
= (2B + 6)10
da
cui:
a
= (B + 3)10
Pertanto
dalla equazione III si ha:
b
= a - (B)10
=
(B + 3)10
-
(B)10
=
(3)10
Infine
dalla II si ricava:
[3
(B + 3)]10
= [4 B + 1]10
3B
+ 9 = 4B +1
B
= 8
Essendo
la base di numerazione del marziano pari al numero di dita, si
conclude che il marziano ha 8 dita.
OSSERVAZIONE
Le
soluzioni a, b e B del sistema (*) sono state trovate utilizzando il
metodo di addizione e sottrazione. Qualora l’insegnante lo
ritenesse necessario, si potrebbero utilizzare anche altri metodi
risolutivi.
Possiamo
verificare che riscrivendo tutto in base 10 si ha:
x2
- 14 x + 33 = 0
le
cui radici sono x1=3
e x2=11.
Facendo la differenza si ottiene:
x1 -
x2 = 11-3 =8
risultato accettabile in quanto (8)10
= (10)8.
SOLUZIONE 2.
L'equazione di secondo grado in questione è di quelle che, se si cercano soluzioni intere, si possono leggere anche così: trovare 2 numeri tali che la loro somma sia uguale al coefficiente del termine di primo grado (16) e il loro prodotto al termine noto (41).
Partiamo dal prodotto. 41 è primo, dunque è dato da 1 * 41. La differenza è 40 e deve essere 10.
Cambiamo base e
proviamo a scendere.
In base 9 il prodotto è
37, anch'esso primo. Nulla da fare.
Scendiamo ancora.
In base 8 il prodotto è
33, che è dato anche da 3 * 11.
Si controllano a questo
punto la somma che è 14 (16 in base 8) e la differenza che è 8 (10
scritto in base 8).
Possiamo dunque che la base del
sistema di numerazione e quindi le dita del marziano sono 8.
OSSERVAZIONE
Va osservato che un
tale approccio oltre a non essere rigoroso, ha il difetto di essere
poco perseguibile qualora la base di numerazione fosse maggiore di
10. L’ultima soluzione proposta si differenzia dalle due precedenti
per ciò che concerne la risoluzione dell’equazione di secondo
grado data dal problema. In questo tipo di approccio, infatti, si è
fatto uso delle formule risolutive classiche.
SOLUZIONE 3.
Per il marziano la differenza delle
due radici dell’equazione
x2 - 16 x +
41 = 0
risulta essere 10 (ovviamente nel suo
sistema di numerazione o base) ; questo vuol dire che:
sostituendo si ottiene:
ovviamente questa equazione è
soddisfatta solo in una base m (che corrisponde al numero di
dita del marziano) che trasformata in base 10 diventa:
in conclusione, l’equazione risulta
soddisfatta se e solo se la base nella quale è stata scritta è 8.
Infatti
Base 8
|
Base 10
|
16
|
14
|
41
|
33
|
10
|
8
|
6.
Conclusioni e riflessioni
È noto che la scuola
costituisce un ambito importante di socializzazione, un ambito nel
quale si apprendono e perfezionano competenze culturali e sociali.
È indubbio che
parlando di scuola si debba prendere in considerazione, fra gli altri
aspetti, anche la qualità sociale dell'educazione, elemento da cui
può dipendere in varia misura l'insuccesso scolastico.
Il tema del "buon
insegnante" o anche dell'insegnante "ideale" è stato
ampiamente studiato in psicologia dell'educazione, soprattutto in
rapporto alla fascia adolescenziale, poiché è proprio l'allievo
adolescente, quello che da un lato, mostra le aspettative più
precise ed articolate nei confronti dei propri insegnanti,
dall'altro, è anche l'allievo tendenzialmente più difficile poiché
più incline a demotivazione scolastica, più capace di abbassare la
credibilità dell'insegnante attraverso propri comportamenti.
Gli insegnanti
giocano un ruolo importante nel rendimento scolastico. Questo fatto è
piuttosto comprensibile: se l'insegnante si centra di preferenza
sugli individui rischia di perdere il controllo del gruppo. Questa è
la situazione in cui facilmente incorrono gli insegnanti meno
esperti, che mostrano difficoltà ad interagire per tempi prolungati
con la classe intera. D'altra parte, saper interagire produttivamente
con un gruppo di adolescenti prevede che siano attivati i loro
livelli di partecipazione e di motivazione.
Insomma, producono
risultati migliori in termini di riuscita scolastica quelle scuole in
cui è incoraggiata la partecipazione attiva degli allievi, in cui è
messo in pratica l'ascolto reciproco fra insegnanti ed alunni, in cui
gli insegnanti possono effettivamente programmare collegialmente le
attività e contare sulla supervisione di insegnanti esperti (più
anziani).
In
conclusione riteniamo che acquisire, progressivamente, capacità di
problem posing e di problem solving serve ad agevolare le
potenzialità d’apprendimento di un allievo, che manifesterà
desiderio di coinvolgimento nelle attività di formazione,
all’interno dell’organizzazione. Tutte le discipline sono
potenzialmente portatrici e generatrici di problemi, la matematica in
particolare è una disciplina costituita da procedure o algoritmi
basati sulle capacità di analisi, di sintesi e di capacità di
concettualizzare e risolvere problemi.
Appendice
I compiti di
sviluppo
Il successo e
l’insuccesso scolastico si collocano entro una matrice interattiva
che contestualizza il percorso scolastico dello studente attraverso
la descrizione delle dinamiche e dei processi socio-psicologici che
si verificano in classe, nonché attraverso la comprensione di
rappresentazioni, valori e significati condivisi dagli insegnanti e
dagli studenti che interagiscono all’interno dello stesso spazio.
La natura sociale della conoscenza è considerata come il risultato
delle interazioni di gruppi di persone che costruiscono insieme modi
comuni di esprimersi usando linguaggi appropriati, di mettere a punto
procedure e metodi più efficaci per raggiungere gli obiettivi
comuni.
Le relazioni fra
insegnanti e studenti sono caratterizzate da un processo basato sulla
possibilità degli insegnanti di interagire con gli allievi sulla
base delle rappresentazioni sociali più diffuse a livello di senso
comune, riguardo quello che caratterizza uno studente di successo o
di insuccesso.
Secondo alcuni studi,
sono definiti i compiti di sviluppo, il lavoro che
l’adolescente compie per superare ostacoli socio-culturali connessi
al passaggio fra cicli di studio e la scelta del ciclo scolastico
successivo all’istruzione obbligatoria. Entrambi questi passaggi
possono indurre nell’adolescente (ad es.) situazioni di stress e
ansia: sia per l’inserimento nella scuola superiore o nei centri di
formazione professionali, sia per coloro che lasciano la scuola per
accedere al mondo del lavoro. La situazione disagiata che
l’adolescente vive costituisce l’occasione per verificare le
proprie capacità. In più tali situazioni, non
solo devono essere oggetto di oculato studio da parte del docente
(attento), ma occorre che essi siano il punto di partenza per una
didattica per problemi. Il superamento positivo di tale fase
genera (o incrementa) la fiducia di se stessi di essere in grado di
affrontare ulteriori compiti; quindi scatena un processo molto
positivo di autostima. Al contrario, il non superamento del compito
produrrà inevitabilmente la perdita di fiducia nelle proprie
capacità di far fronte a situazioni e problematiche in modo
soddisfacente. Allora, qual è il ruolo dell’insegnante in questo
caso?
Perché l’alunno
“va male” a scuola?
Gli
adolescenti che affrontano i diversi compiti di sviluppo sono oggetto
di valutazione da parte degli adulti: insegnanti e genitori; e di
confronto con gli altri coetanei. Questo è un aspetto molto
delicato nella crescita dell’adolescente. Infatti, il
riconoscimento che gli è fornito ed impegnato nel superamento di un
compito di sviluppo, incide notevolmente sul processo di costruzione
della identità del ragazzo/a. Da qui, l’adolescente tenderà a
costruire un’immagine positiva (o negativa) di se stesso. Solo
quando ogni individuo percepisce di possedere qualità socialmente
valorizzate in grado di relazionarsi bene con gli altri, si può
convincere di poter interagire costruttivamente con l’ambiente
sociale in cui vive.
Questo processo è talvolta (positivamente o
negativamente) accompagnato da una interazione prolungata con i
genitori o gli insegnanti. Oggetto della valutazione è qui il tipo
di rapporti esistenti tra gli alunni e tra alunni ed insegnante, e
cioè il genere di relazioni che permettono di creare in classe un
clima favorevole all'acquisizione del sapere.
La prospettiva
causalistica che ha dominato e che spesso domina tuttora all’interno
dell’istituzione scolastica ha costruito un sistema di
rappresentazioni che ha consentito di giustificare la presenza dello
studente “diverso” (deviante, in condizioni di handicap o
solamente l’alunno che “va male a scuola”) quale risultato
delle differenze individuali tra gli alunni (differenze
nell’intelligenza, nelle attitudini, negli interessi, nelle
predisposizioni, nelle motivazioni, nel contesto socio-economico di
provenienza) e legittimare quindi gli eventuali provvedimenti messi
in atto dall’istituzione stessa per mano degli insegnanti. In
questo modo l’intero sistema e gli stessi insegnanti sono stati
deresponsabilizzati dal prendere criticamente in esame il proprio
agire quotidiano. Ma la diversità, la devianza del ragazzo, non è
solo una proprietà dell'azione compiuta dal ragazzo o una
caratteristica della sua personalità o del suo carattere, come più
frequentemente è chiamato in causa, ma è anche una conseguenza del
fatto che l'insegnante applica delle regole di valutazione dettategli
dal criterio di normalità/anormalità che il suo personale consenso
all'istituzione gli impone. E questo, secondo me, è errato!
Il tema della
comunicazione in classe si affronta partendo dall'osservazione
diretta del comportamento comunicativo dell'insegnante,
caratterizzato dal porre domande o dal fornire risposte, dal lodare,
dal criticare o dall'ignorare dal trasmettere informazioni o dal
riferire opinioni. L'intento sembra essere quello di valutare la
capacità professionale dell'adulto tramite la qualità delle
interazioni instaurate con gli alunni, tentando in alcuni casi di
stabilire dei nessi tra lo stile comunicativo dell'insegnante e il
rendimento degli allievi.
L'adolescente è
impegnato, proprio negli anni della scuola superiore, in una
complessa e lunga operazione di passaggio da un'identità
appartenente al mondo infantile ad un'identità adulta e sociale.
Questo processo implica per lui la necessità di separarsi da
oggetti, affetti e comportamenti infantili, e passare ad acquisire
autonomia delle proprie capacità e delle proprie relazioni sociali.
La scuola, senza
dubbio, si inserisce in questa vicenda di trasformazione e passaggio.
In effetti, essa rappresenta un campo di esperienza particolarmente
significativo proprio in rapporto a quei processi in cui occorre dare
prova di sé, misurarsi con le difficoltà, esporsi al giudizio,
produrre risultati valutabili, ottenere una valutazione da un adulto
competente ed autorevole. Insomma, per l'allievo, la scuola è, in
primo luogo, la sede dove cresce il bisogno di sperimentarsi, di
realizzare e produrre qualcosa in cui riconoscersi, qualcosa che
possa essere valutato dagli altri e possibilmente approvato e
apprezzato all'esterno per rimandare un'immagine concreta e ricca di
sé.
Per comporre il
quadro della relazione tra adolescenti e scuola occorre anche
riflettere sul senso dell'apprendimento scolastico, in particolare
sui significati concreti connessi alla funzione dell'imparare. In
alcuni testi, si legge che imparare con successo significa crescere,
affermarsi, vincere, controllare: l'imparare è una funzione
importante e desiderabile perché sinonimo di passaggio a stadi più
evoluti. Ma, l'adolescenza è dominata anche da oscillazioni e
contraddizioni tra la voglia di crescere e la paura di uscire
dall'infanzia. Pertanto, imparare potrebbe voler dire anche uscire
dal gioco, dall'irresponsabilità e dalla dipendenza da chi sa di
più. Dunque, il processo dell'imparare implica anche esperienze di
incertezza, confusione e incomprensione, ed espone naturalmente a
rischi di fallimento, di frustrazione e di fatica. Per i ragazzi è
spesso cosa difficile e fonte di ansia tollerare lo stato di non
conoscenza, la sensazione di non comprensione e controllo del nuovo
da acquisire. L'apprendimento insomma, può essere per l'adolescente
un'esperienza che ripropone e condensa le emozioni, i conflitti, e le
ansie più intense.
Tuttavia, il rapporto
tra le richieste della scuola e la realtà della condizione
adolescente è certamente complesso e contraddittorio: se da un lato
i caratteri del pensiero, della libertà dell'astrazione, e a
formulare ipotesi, sembrano la migliore premessa per un forte impegno
intellettuale, d'altro canto, l'investimento massiccio sulla propria
realtà emotiva pongono, all’allievo, un ostacolo sulla possibilità
di una convergenza tra compiti scolastici e compiti di sviluppo.
Probabilmente la condizione necessaria perché tale convergenza si
verifichi fattivamente è che l'adolescente possa sentire la scuola
come un'occasione di sperimentazione positiva di sé, sede di
riconoscimento e conferma di elementi necessari alla graduale
conquista di nuove identità; ma sicuramente la condizione appena
suggerita segue da una modifica (quasi) radicale del mondo-scuola.
In definitiva, nella
scuola, occorrerebbe almeno recuperare i seguenti elementi:
- La motivazione allo studio
- Il significato dello studio
- Il significato della funzione educativa
Recuperare la motivazione
Occorrerebbe far percepire la scuola
come spazio esperienziale che contiene opportunità di prova di sé,
di affermazione, di scoperta, di evoluzione, di identificazione, di
confronto, di gioco di idee, delle opinioni e di responsabilità.
Infine, occorrerebbe ri-centrare l'immagine e la realtà della scuola
sugli studenti, e non solo su talvolta impraticabili ed
incomprensibili programmi e sull'istituzione, in modo che lo studente
senta di essere il protagonista e percepisca le opportunità che la
scuola offre come risposta ad un'esigenza formativa propria e non
solo dettata da esterne burocrazie e pericolose politiche valide solo
per fini istituzionali.
Recuperare il significato dello studio
Recenti studi
sicsiini ci hanno portato alle seguenti riflessioni. Occorrerebbe,
fondare la didattica nel suo complesso, non più come trasmissione di
saperi, ma come ricostruzione di significati. Un sapere che sia
sempre accompagnato da idee, motivi ed opinioni; proposte di
contenuti che prevedano anche i modi di pensare e di valutare quei
contenuti, percorsi di ragionamento che partano delle precedenti
conoscenze di vissuto dei ragazzi.
Il significato della funzione educativa
Dobbiamo uscire da ciò che è rigidamente curricolare
e mettere (quando è possibile) da parte l'iter scolastico per
favorire "contenuti di relazione". Recuperare la relazione,
in realtà, significa mettersi in gioco con tutto il proprio carisma
e tutta la propria autorevolezza di ruolo come punto di riferimento
adulto e colto, e come possibile modello di rapporto con il sapere e
la conoscenza. Significa entrare in una relazione produttiva con gli
studenti per condividere progetti, comunicare aspettative e
restituire valori.
Bibliografia
generale
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- Polya G.: La Scoperta matematica. Capire, imparare e insegnare a risolvere i problemi, Feltrinelli, Milano.
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- Web: “vari siti Web”
Siti consultati
- http://www.liceo-vallisneri.lu.it
- imo.math.ca (IMO – International Mathematical Olympiad)
1Effettuando
una previsione di tipo qualitativo (10 persone intervistate) è
emerso che più del 50% ha risposto “non lo so”, esprimendo la
loro convinzione che non sussiste alcun nesso logico (apparente) tra
le dita della mano di un marziano e la soluzione matematica di una
equazione di secondo grado.
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