Un quinto di uno sciame di api si posò su di un fiore di cadamba, un terzo su di un fiore di silinda, tre volte la differenza di questi due numeri di api volò tra gli altri fiori del giardino e rimase solo un’ape, che si librò qua e là nell’aria, attirata dal grato profumo di un gelsomino. Dimmi tu, ora bella Lilavati, qual era il numero delle api?
[Poesia tratta da “Lilavati” di Bhaskara (1114-1185) ]
"Lilavati" è una raccolta di problemi scritta da Bhãskara, dove la Matematica diventa poesia. Nell’opera si possono trovare mille anni di cultura matematica indiana, grazie ad una patetica vicenda che merita di essere raccontata. Nato nella casta dei Brahamini, Bhãskara fin da giovanissimo aveva saputo approfittare delle possibilità che il suo stato gli offriva. Si era dedicato anima e corpo allo studio, in particolare a quello della Aritmetica. Egli si sposò, ebbe una figlia, che la leggenda descrive di una bellezza straordinaria. Bhãskara era un padre indù molto premuroso, ed interrogò gli astrologi e seppe che secondo le previsione delle stelle la sua adorata figlia avrebbe vissuto a lungo ma non si sarebbe mai sposata. Gli anni passarono; Bhãskara teneva costantemente la figlia con sé educandola ai segreti dei numeri; ai misteri delle figure geometriche, ai culti religiosi e alla scienza delle stelle. Ma quando la figlia di Bhãskara giunse a diciotto anni, la primavera della natura ebbe il sopravvento sull'educazione. Lilavati una sera manifestò al padre che le sarebbe piaciuto avere un marito. Bhãskara per giorni e notti eseguì calcoli di ogni genere, finché non riuscì a trovare che ad una certa ora di un certo giorno gli dei avrebbero permesso le nozze della figlia. Allora chiamò la figlia e le fece la grande rivelazione, raccontandole anche delle precedenti previsioni negative. Ora non c'era che scegliere un marito. Un vecchio amico di Bhãskara aveva un figlio celibe: l'affare fu combinato e cominciarono i preparativi per le nozze. Il giorno fatidico la casa del matematico si riempì di invitati festanti, ed ebbe inizio la processione nuziale. Gli astrologi avevano posto in un tripode vicino a Lilavati una preziosa clessidra ad acqua. Quando l'ultima goccia di liquido fosse passata dal vaso superiore a quello inferiore, sarebbe stato il momento del "sì" concesso a Lilavati dalla nutrita schiera degli dei indù. Passarono molti minuti, interminabili per la ragazza, quando un astrologo si piegò a controllare quanto liquido restava ancora da gocciolare e scoprì con rammarico che la clessidra si era fermata: l'acqua non passava più dal vaso superiore a quello inferiore. Era successo che una perla della collana di Lilavati, staccandosi, era andata a cadere inopinatamente nel vaso, ostruendo il passaggio dell’acqua. Il tempo concesso dagli dei per il matrimonio era trascorso senza che nessuno se ne fosse accorto o avesse potuto valutarlo. Lilavati dovette rinunciare al suo uomo e restò zitella. Fu allora che Bhãskara, per consolare la figlia, le promise di renderla immortale intitolando a lei il suo trattato di aritmetica che chiamò appunto Lilavati, la bellissima.
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