Il
1202 è, per l’Occidente latino, l’anno di una rivoluzione
culturale di enorme portata. Leonardo Fibonacci pubblica un suo
ponderoso trattato, il Liber abaci, destinato a influire
profondamente sulla società del suo tempo. Come osserva Enrico
Giusti (Matematica e commercio nel Liber Abaci in
Un ponte sul Mediterraneo,
p. 93):
Quando
il Liber Abaci vide la luce, ottocento anni or sono, la matematica
nell’Occidente cristiano era praticamente inesistente: se si
eccettuano le traduzioni dall’arabo che alla fine del XII secolo un
gruppo di studiosi andava conducendo nella Spagna mussulmana,
traduzioni che riguardavano soprattutto i grandi
classici
(Euclide in primo luogo) dell’antichità greca, ben poco circolava
in Europa all’inizio del Duecento. Soprattutto ben poco di
comparabile per mole e per profondità a quanto Leonardo Fibonacci
avrebbe reso pubblico nel 1202.
Il
trattato è molto vasto (nell’edizione di Baldassarre Boncompagni,
quasi 500 pagine in-quarto grande) e può essere visto come diviso in
quattro parti: la prima (i primi sette capitoli) insegna i fondamenti
dell’aritmetica (le cifre “indiane”, la notazione posizionale,
gli algoritmi di calcolo con numeri interi e frazioni). A questa
seguono i capitoli di “matematica per mercanti”: cambi di monete,
pesi e misure, acquisto e vendita di merci, baratti, società
(capitoli 8–11). La terza parte contiene problemi “dilettevoli e
curiosi”: fra questi il famoso problema dei conigli, che dà luogo
alla famosa successione
di
Fibonacci (1, 2, 3, 5, 8, 13 . . . : capitolo 12). La quarta
parte contiene tecniche e problemi più complessi e astratti: dalla
regola della “doppia falsa posizione” (cap. 13) a estrazioni di
radici quadrate e cubiche (cap.14); dalla teoria delle proporzioni
geometriche all’algebra (cap. 15).
Tutto
qui? Un’opera capitale nella storia del pensiero umano sarebbe un
volumone in cui sostanzialmente si insegna solo a fare le quattro
operazioni? E' è roba da elementari. Delle nostre scuole elementari.
E
proprio il fatto che questa matematica si sia radicata a tal punto
nella nostra cultura da potere e dovere essere insegnata ai bambini
insieme con l’alfabeto è la prova che attraverso il Liber abaci si
veicol`o una rivoluzione culturale.
Per
la prima volta, dopo la sua invenzione da parte dei Greci nel V
secolo a.C., la matematica si compenetra nella società. Nel 1202
nasce una società che pone alla base delle sue transazioni un
linguaggio, un metodo e un approccio matematici.
Lo
svilupparsi di reti commerciali sempre più vaste, l’espandersi
delle dimensioni delle imprese e le conseguenti esigenze di adeguare
i sistemi di contabilità, fecero sì che le diffidenze iniziali si
andassero rilassando nel corso del Duecento: Fibonacci stesso nel
1241 fu incaricato dal Comune di Pisa di tenere corsi per i suoi
funzionari. Nasce così la figura del “maestro d’abaco”; prende
piede un’istituzione fondamentale per la storia d’Europa: la
“scuola d’abaco”. La sua diffusione, ancora esitante nel XIII
secolo, diventa impetuosa nel corso del Trecento e del Quattrocento.
Nella sola Firenze, tra l’ultimo ventennio del Duecento e il primo
quarantennio del Cinquecento operarono a Firenze una settantina di
abacisti, quasi tutti maestri d’abaco, e si ha notizia di venti
scuole d’abaco. Verso la fine del Quattrocento, almeno il 25% dei
ragazzi in qualche modo “scolarizzati” frequentava questo tipo di
scuole; nella Venezia del Cinquecento la percentuale sale addirittura
al 40%.
Alla
scuola d’abaco si entrava circa all’età di dieci anni, dopo aver
imparato a leggere e a scrivere a quella di grammatica; il corso
durava circa due anni. Le scuole d’abaco erano ovviamente
frequentate da coloro che volevano dedicarsi alla mercatura ma anche
da chi intendeva entrare nelle botteghe artigiane per diventare
architetto, pittore o scultore. Erano per la maggior parte istituite
e sovvenzionate dai Comuni, ma molte (a Firenze, per esempio) erano
private. è in queste scuole che si formarono alcuni dei grandi nomi
del nostro Rinascimento: Piero della Francesca, Michelangelo,
Machiavelli, Leonardo (per non citare che i più famosi fra quelli
per cui esiste una documentazione certa) provengono da questo
ambiente culturale e alcuni di essi, come Piero e Leonardo, lo
alimentarono attivamente.
Fra
il XIII e il XVI secolo la scuola d’abaco sarà la scuola di quello
strato culturale intermedio che è al tempo stesso il produttore e il
fruitore principale della matematica abachistica.
È
lo strato culturale cui appartengono coloro che non sono illetterati,
ma nemmeno ambiscono alle professioni liberali — medicina, diritto,
teologia. Sostanzialmente estranei alla cultura universitaria legata
inscindibilmente al latino, sviluppano una cultura parallela, che
potrebbe chiamarsi cultura dell’abaco, dal nome delle scuole in cui
si formano i mercanti, gli artisti, i tecnici, gli uomini d’arme,
gli stessi nobili.
Che
matematica vi si insegnava? Essenzialmente gli argomenti che abbiamo
riassunto descrivendo il Liber Abaci, ma attraverso lo strumento del
“trattato” o del “libro d’abaco”.
Warren
van Egmond ne ha recensito un gran numero, e il Centro Studi
della Matematica Medioevale dell’Università di Siena ne ha
pubblicato diversi; se ne conoscono attualmente circa trecento. Il
libro d’abaco diventa una sorta di prontuario di “esercizi” che
serve al maestro per insegnare ai suoi scolari. La matematica della
cultura dell’abaco prende infatti una strada molto diversa da
quella della matematica classica e anche (sia pur in misura minore,
date le sue origini) da quella araba. La struttura
assiomatico-deduttiva scompare quasi completamente, l’insegnamento
avviene per esposizione ripetuta a casi esemplari: il libro d’abaco
ne costituisce appunto una riserva che il maestro potrà—avendone
le capacità —ampliare. Lo scolaro, esercizio dopo esercizio,
arriverà a poter trattare, oltre all’aritmetica e ai suoi
algoritmi quei problemi che è destinato a incontrare quotidianamente
nella sua vita professionale: interessi, società, compagnie,
baratti, cambi di monete e di misure, problemi di geometria pratica
(misure di campi, di capacità, di distanze).
La
cultura dell’abaco si dota così di una sua matematica: una
matematica nuova per una società nuova, che sembra aver dimenticato
il modello greco. Sembrerebbe, da quanto siamo venuti dicendo, una
perdita secca: non a caso, come discuteremo fra breve, il Medioevo
non riuscirà a cogliere e ad apprezzare di Archimede che gli aspetti
che più si prestavano a essere trasformati in regole pratiche: la
misura del cerchio e quella della sfera. Eppure è proprio negli
ambienti delle scuole d’abaco che si sviluppano i primi passi in
avanti rispetto alle conoscenze classiche: tanto per fare due esempi
la nascita della prospettiva teorica e la nuova teoria delle
equazioni si sviluppano proprio attraverso il lavoro fatto nelle
scuole d'abaco.
[testo tratto a P.D: Napolitani, L'Italia del Rinascimento, 2007]
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