martedì 5 ottobre 2010

Riflessioni sulla matematica greca 1 / La scuola pitagorica e la prima crisi dei fondamenti della matematica



Il primo organico tentativo di dare una fondazione della matematica fu probabilmente quello della scuola pitagorica il cui assunto di partenza è che: alla base di tutto è il numero intero.



La scuola pitagorica era una setta mistico-religiosa che si sviluppò in Grecia ed in Italia (Crotone), tra il 570 ed il 500 a.C., attorno ad un mitico personaggio chiamato Pitagora. Le idee di tale scuola sono di fondamentale importanza per la storia della cultura occidentale perché da esse inizierà quel processo che trasformerà in una scienza razionale quella disarticolata raccolta di risultati dettati dall'esperienza che era la scienza pre-ellenica.
Naturalmente non bisogna immaginare i pitagorici come scienziati campioni di razionalismo.
Il carattere mistico di questa scuola era fortissimo, siamo in presenza di una vera e propria setta religiosa (e politica) che credeva, tra le altre cose, che le anime dei morti si reincarnassero negli animali. Anche le "regole" di tale setta ci appaiono notevolmente bizzarre. Ad esempio ecco alcuni comandamenti:
- non toccare un gallo bianco
- non addentare una pagnotta intera
- non guardare uno specchio accanto ad un lume.
Ma queste stranezze non tolgono ai pitagorici il merito di costituire il punto di inizio della moderna cultura scientifica. Di essi ne parla Aristotele al modo seguente, dove si deve tenere conto che allora per "numero" si intendeva "numero intero positivo".
Tra i primi filosofi, ..., furono i cosiddetti Pitagorici, i quali, applicatisi alle scienze matematiche, le fecero per i primi progredire; cresciuti poi nello studio di esse, vennero nell'opinione che i loro principi fossero i principi di tutti gli esseri... Pensarono che gli elementi dei numeri fossero gli elementi di tutte le cose, e che l'universo intero fosse armonia e numero (Aristotele, Metafisica).


Si deve tenere conto che in quel periodo era forte il desiderio di trovare i "principi ultimi" e che questi venivano cercati negli elementi naturali come l'aria, l'acqua o il fuoco. Forse però per capire meglio il pensiero dei Pitagorici, vediamo cosa dice uno di loro, Filolao.
Nessuna menzogna accolgono in sé la natura del numero e l'armonia: non è cosa loro la menzogna. La menzogna e l'invidia partecipano della natura dell'illimitato, dell'intellegibile e dell'irrazionale. Nel numero non penetra menzogna, perché la menzogna è avversa e nemica della natura, così come la verità è connaturata e propria alla specie dei numeri . . .
Nulla sarebbe comprensibile, né le cose in sé né le loro relazioni, se non ci fossero il numero e la sua sostanza.
Tutte le cose che si conoscono hanno numero: senza il numero non sarebbe possibile pensare né conoscere alcunché.


Da quel "tutte le cose che si conoscono hanno un numero" scaturiva poi il convincimento circa la struttura granulare e discreta delle figure geometriche e, più in generale, del mondo fisico. Ciò comportava, ad esempio, una concezione del segmento come insieme (finito) di punti-unità, punti che venivano intesi come veri e propri corpi con una determinata grandezza.
Infatti era solo in base a tale ipotesi che i numeri interi potevano rappresentare lo strumento perfettamente adeguato alla descrizione della realtà, anzi, in un certo senso, venivano a coincidere con la realtà stessa. In tale modo la geometria non si considerava distinta dall'aritmetica e, in un certo senso, l'aritmetica assumeva una forma geometrica. Dei numeri infatti si dava una rappresentazione geometrica o, se si vuole, fisica, tramite una opportuna configurazione di punti-sassolino. Ad esempio i pitagorici avevano a che fare con  numeri triangolari o quadrati o rettangolari...



L'importanza della svolta impressa dalla scuola pitagorica non si limita alla sola matematica poiché la fede nella potenza regolarizzatrice del numero intero, il procedimento di astrazione, l'uso delle dimostrazioni nel procedere scientifico, rappresentano il nascere dell'aspetto fondamentale della cultura occidentale: il convincimento che il mondo sia comprensibile non attraverso l'ascesi mistica, la contemplazione, come viene ritenuto dalle culture orientali, ma attraverso l'attività raziocinante. Con Pitagora ha inizio un processo di
idealizzazione e razionalizzazione di tutte le forme di conoscenza che dominerà perfino la nostra cultura religiosa. Afferma ad esempio Bertrand Russell in "Storia della filosofia occidentale" (libro che consiglio di leggere perché vivace, comprensibile ed economico):
La religione razionalistica, al contrario di quella apocalittica, è stata da Pitagora in poi (ed in particolare da Platone in poi) completamente dominata dalla matematica e dal metodo matematico. La combinazione di matematica e di teologia, che cominciò con Pitagora, caratterizzò la filosofia religiosa in Grecia, nel Medioevo e nell'era moderna fino a Kant. L'orfismo precedente a Pitagora era analogo alle misteriose religioni asiatiche. Ma, in Platone, Sant'Agostino, Tommaso d'Aquino, Cartesio, Spinosa e Leibniz, vi è un intimo intrecciarsi di religione e di ragionamento, di aspirazione morale e di ammirazione logica per ciò che è eterno, il quale viene da Pitagora e distingue la teologia intellettualizzata dell'Europa dal più diretto misticismo asiatico.


Le concezioni dei pitagorici furono però ben presto messe in crisi dalla scoperta della esistenza di grandezze geometriche "incommensurabili". Questo fatto è conseguenza del teorema che va proprio sotto il nome di “Teorema di Pitagora”.

Teorema 1. Dato un triangolo rettangolo, se si considera l’unione dei due quadrati costruiti sui cateti otteniamo una figura che ha la stessa estensione del quadrato costruito sull’ipotenusa.


E quindi:

Teorema 2. Dato un quadrato, per quanto si scelga piccolo un segmento come unità di misura, le misure del lato e della diagonale non possono essere mai espresse da numeri interi.



Possiamo concludere pertanto che i numeri interi non costituiscono uno strumento sufficiente
per effettuare misure geometriche. La cosa non migliora se si coinvolgono i numeri razionali.


Infatti vale anche la seguente proposizione.
Teorema 3. Dato un quadrato, per quanto si scelga piccolo un segmento come unità di
misura, le misure del lato e della diagonale non possono essere mai espresse da numeri
razionali.



In definitiva, in termini attuali, diremmo che perfino la misurazione di grandezze legate alla figura geometrica più elementare, il quadrato, comporta necessariamente il coinvolgimento dei numeri irrazionali. Ora, se si tiene conto del fatto che per gli antichi greci i soli numeri esistenti erano gli interi positivi, ciò significava per la cultura del tempo che: vi sono più cose in geometria (e quindi nel mondo fisico) di quanto i numeri siano capaci di esprimere.


D'altra parte, poiché la razionalità veniva identificata con il numero (cioè la possibilità di esprimere tramite numeri e rapporti di numeri i fenomeni del mondo), una tale conclusione comportava la messa in discussione della stessa possibilità, da parte dell'uomo, di pervenire alla conoscenza2. Alla luce della scoperta di grandezze incommensurabili come il lato e la diagonale del quadrato la stessa concezione delle rette ed in generale di ogni figura geometrica come somma finita di punti-atomo, che era propria della scuola pitagorica, non poteva più reggere. Se infatti i segmenti fossero costituiti da un numero finito di particelle indivisibili, tutte di lunghezza u, allora ovviamente il lato e la diagonale del quadrato avrebbero lunghezza multiplo di u. D'altra parte si tenga presente che una tale concezione coincide proprio con quella della fisica moderna che sembra pertanto essere in contrasto con la geometria, o, per meglio dire, con il teorema di Pitagora.



Concludo, provvisoriamente, osservando che:
se con la scuola pitagorica abbiamo il primo tentativo di fondazione generale della matematica, con la scoperta delle grandezze incommensurabili siamo in presenza della prima crisi dei fondamenti della matematica.

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