giovedì 27 gennaio 2011

Luca Pacioli e la Summa [altre idee per un articolo...]

La figura di Luca Pacioli è senz'altro determinante in questo secolo. La sua biografia, da sola, permette di capire molti tratti caratteristici del monaco di Borgo Sansepolcro, nato da famiglia di modeste condizioni economiche attorno al 1445.
Il padre di Luca Pacioli è Bartolomeo Pacioli, ma pare che Luca non sia vissuto con la sua famiglia, rimase invece a Sasepolcro, ma con la famiglia Befolci. Per quanto riguardava Pacioli, la più importante componente di questa cittadina di commercio era lo studio di Piero della Francesca, che trascorreva molto tempo nel suo studio a Sansepolcro, intento a seguire le molte commesse ricevute. L'ipotesi che abbia ricevuto una parte della sua educazione nello studio di Piero della Francesca è molto probabile. Una delle principali ragioni per cui si crede questo è che Pacioli sembrava essere molto preparato sull'argomento delle opere di Piero della Francesca e le opere di Pacioli sembrano essere molto influenzate dalla sua presenza.
Al termine degli studi condotti presso le scuole d'abaco, Pacioli lasciò Sansepolcro per trasferirsi a Venezia (1464) per stare a servizio del ricco mercante Antonio Rompiansi il quale abitava nel quartiere malfamato della Giudecca. Bisogna supporre che dovesse certamente avere una buona educazione riguardo alla matematica di base grazie ai suoi studi a Sansepolcro e sicuramente doveva avere una buona educazione letteraria per essere stato assunto come tutore dei tre figli di Rompiansi. Ad ogni modo, durante il suo soggiorno a Venezia colse l'occasione per approfondire ulteriormente i suoi studi matematici avendo come maestro Domenico Bragadino. Durante questo periodo Pacioli prese confidenza sia con l'insegnamento, grazie al suo lavoro di tutore, sia con gli affari, grazie al suo ruolo nell'aiutare Rompiansi con i suoi commerci.
Fu proprio durante questo soggiorno a Venezia che Pacioli scrisse la sua prima opera: un libro di matematica aritmetica che dedicò al suo datore di lavoro. Questa fu completata nel 1470, probabilmente l'anno in cui morì Rompiansi. Lasciata Venezia, si tarsferì a Roma come ospite di Leone Battista Alberti che era il segretario nella cancelleria papale. Alberti riuscì a fornire a Pacioli molti contatti religiosi. Durante questo periodo Pacioli divenne teologo e dopo pochi anni divenne Frate nell'ordine Francescano.
Nel 1447 Pacioli cominciò una vita di viaggi, passando tempo nelle università ad insegnare matematica, soprattutto aritmetica. Insegno nell'Università di Perugia dall'1477 all'1480 e mentre soggiornava lì scrisse la sua seconda opera sull'aritmetica per le classi a cui insegnava. Insegno a Zara e durante il suo soggiorno scrisse la sua terza opera sull'aritmetica. Nessuno di questi libri fu pubblicato e solamente quello scritto per gli studenti a Perugia ci è arrivato. Dopo Zara, Pacioli insegnò alle università di Perugia, per una seconda volta, a Napoli e a Roma. Sicuramente Pacioli conobbe Federico di Montefeltro duca di Urbino durante questo periodo, a cui venne attribuito questo titolo dal papa Sisto IV nel 1474, e sembra che Pacioli abbia insegnato al figlio Guidobaldo di Montefeltro, l'ultimo regnante della famiglia Montefeltro dopo la morte del padre nel 1482. La corte di Urbino era un famoso centro culturale e Pacioli aveva contatti con gente importante per molti anni. Nel 1489, dopo due anni trascorsi a Roma, Pacioli tornò a Sansepolcro. Tuttavia non andò tutto per il meglio nella sua città. Il Papa gli aveva permesso alcuni privilegi e gli uomini religiosi della piccola cittadina erano invidiosi di lui. Infatti a Pacioli fu proibito di insegnare lì nel 1491, ma la gelosia sembrava essere unita al rispetto per la sua sapienza e preparazione matematica, quindi nel 1493 fu invitato a predicare i sermoni della quaresima.
Durante questo periodo a Sansepolcro, Pacioli lavorò su uno dei suoi libri più famosi: la Summa de arithmetica, geometria, proportioni er proportionalità che dedicò a Guidobaldo allora duca d'Urbino. Pacioli andò a Venezia nel 1494 per publicare la Summa. L'opera fornisce un riassunto della matematica conosciuta a quel tempo anche se mostra poco per quanto riguarda idee originali. L'opera studia l'aritmetica, l'algebra, la geometria e la trigonometria e, nonostante mancasse di originalità, avrebbe fornito una base per il più grande progresso nella matematica che avvenne in Europa poco dopo la sua morte. Come detto nella Summa era:
non indirizzato ad alcuna particolare parte della comunità. Un'opera enciclopedica scritta in italiano, contiene un trattato generale sull'aritmetica teorica e pratica; elementi di algebra; una tavola di monete, pesi, e misure usati nei vari stati italiani; un trattato sull'amministrazione delle entrate e delle uscite; e un riassunto della geometria euclidea. Ha ammesso di aver usato liberamente nozioni di Euclide, Boezio, Sacro Boasco, Fibonacci…
La parte geometrica della Summa di Pacioli è discussa in dettaglio nel paragrafo 6:
La parte geometrica della summa di Pacioli [Venezia, 1494] scritta in italiano è uno dei primi libri di matematica stampato. Pacioli ha largamente usato elementi di Euclide riscrivendone alcuni. Riferito anche a Leonardo di Pisa (Fibonacci).
Un altro aspetto interessante della Summa è il fatto che studiava il gioco delle probabilità. Pacioli studiò il problema dei punti anche se la soluzione che lui diede non è corretta.
Ludovico Sforza era il secondo figlio di Francesco Sforza il quale si era proclamato Duca di Milano. Quando Francesco morì nel 1466, il fratello maggiore di Ludovico, Galeazzo Sforza, divenne Duca di Milano. In seguito, Galeazzo fu ucciso nel 1476 e suo figlio di sette anni divenne Duca di Milano. Ludovico, dopo alcuni intrighi politici, divenne tutore del giovanotto nel 1480. Con un patrocinato molto generoso degli artisti e studiosi, Ludovico Sforza pose le basi per rendere la sua corte a Milano la migliore di tutta l'Europa. Nel 1482 Leonardo da Vinci venne preso a servizio da Ludovico come pittore e ingegnere di corte. Nel 1494 Ludovico divenne Duca di Milano e, intorno al 1496, Pacioli fu invitato da Ludovico ad andare a Milano per insegnare matematica alla sua corte. Questo invito potrebbe essere stato fatto su richiesta di Leonardo che aveva
un interesse entusiata per la matematica.
A Milano, Pacioli e Leonardo divennero rapidamente amici. L'arte e la matematica erano argomenti sui quali discutevano molto e a lungo, ciascuno imparando molto dall'altro. In questi anni Pacioli iniziò a lavorare alla seconda delle sue due opere più famose: la Divina Proportione le quali illustrazione furono disegnate da Leonardo; il libro sul quale Pacioli lavorò nel corso del 1497 avrebbe in seguito formato il primo dei tre libri che publicò nel 1509 con il titolo Divina Proportione. Questo era il primo dei tre grandi libri che componevano il trattato e studiava la proporzione divina anche chiamata Sezione Aurea che è la proporzione a:b = b: (a+b). Contiene i teoremi di Euclide che hanno a che fare con questa proporzione, e studia anche poligoni regolari e semiregolari. Chiaramente l'interesse di Leonardo per questa proporzione esteticamente soddisfacente sia dal punto di vista matematico che artistico fu un'influenza importante sull'opera. La sezione aurea era anche importante nel disegno architettonico e questo argomento avrebbe composto la seconda parte del trattato che Pacioli scrisse più tardi. Il terzo libro del trattato è una traduzione in italiano di una delle opere di Piero della Francesca.
Luigi XII divenne Re di Francia nel 1498 e, essendo discendente del primo Duca di Milano, rivendicò il ducato. Venezia sostenne Luigi contro Milano e nel 1499 l'esercito francese entrò a Milano. Nell'anno successivo Ludovico Sforza fu catturato nel tentativo di riprendersi la città. Pacioli e Leonardo fuggirono insieme nel Dicembre del 1499 tre mesi dopo la cattura di Milano. Si fermarono a Mantova, dove furono ospiti della Marchesa Isabella d'Este, e nel Marzo del 1500 andarono a Venezia, poi tornarono a Firenze dove i due condivisero una casa.
L'Università di Pisa aveva subito una rivolta interna nel 1494 e si era trasferita a Firenze. Pacioli fu incaricato di insegnare geometria all'Università di Pisa a Firenze nel 1500. Vi rimase fino al 1506. Leonardo, pur avendo passato dieci mesi fuori dalla città lavorando per Cesare Borgia rimase anche egli a Firenze fino al 1506.
Durante i suoi anni a Firenze Pacioli fu coinvolto anche negli affari della chiesa. Fu eletto superiore del suo ordine e nel 1506 entrò nel monastero di Santa Croce a Firenze. Quando lasciò Firenze, Pacioli andò a Venezia dove gli furono concessi i diritti per la publicazione delle sue opere per i successivi quindici anni.
Nel 1510 Pacioli tornò a Perugia per insegnare. Insegnò di nuovo anche a Roma nel 1514 ma aveva già 70 anni ed era già vicino alla sua vita di insegnamento e ricerchè. Tornò a Sansepolcro dove morì nel 1517 senza aver publicato la grande opera De Viribus Amanuensis sui problemi di svago geometrici e proverbi. Questa opera fa frequenti riferimenti a Leonardo da Vinci che lavorò assieme a lui su questo proggetto, e molti dei problemi di questo trattato sono anche negli appunti di Leonardo. Anche in questo lavoro non c'è alcuna originalità, e lo stesso Pacioli lo descrive come un compendio.
Nonostante le opere di Pacioli manchino di originalità il suo contributo alla matematica è importante particolarmente perché l'influenza dei suoi libri sarebbe durata a lungo nel tempo. Nell'importanza dell'opera di Pacioli è discussa, in particolare il suo calcolo approssimato dei valore della radice quadrata (usando un metodo di Newton), la errata analisi di alcuno giochi di probabilità (simili a quelli studiati da Pascal), i suoi problemi riguardanti la teoria dei numeri, e la sua collezione di molti quadrati "magici". Nel 1550 fu pubblicata una biografia di Piero della Francesca scritta da Giorgio Vasari. Questa biografia accusò Pacioli di plagio e sostenne che Pacioli aveva rubato l'opera di della Francesca sulla prospettiva, sull'aritmetica e sulla geometria. Questa è un'accusa ingiusta, poiché anche se c'è del vero nel dire che Pacioli prendeva un'importante spunto dal lavoro degli altri e certamente quello di della Francesca in particolare, non tentò mai di proclamare suo il lavoro degli altri ma citava sempre le fonti che aveva usato.

Luca Pacioli è degno di considerazione nell'ambito della storia delle matematiche , proprio in virtù del percorso di “matematizzazione” delle scienze e delle tecniche promosso in tutte le opere del frate di Sansepolcro e in tutta la sua lunga attività.
Il valore culturale della sua opera tuttavia non deve essere ridotto all'elencazione delle conoscenze raccolte e e successivamente utilizzate anche nei secoli successivi, ma bisogna tener presente il progetto di diffusione della matematica che innerva l'infaticabile attività di insegnante e divulgatore, esercitata da Pacioli nel corso della sua esistenza. La centralità delle matematiche per la conoscenza umana, vera innovazione nel sistema educativo umanistico e nei curricula universitari del Quattrocento, dipende, secondo il Pacioli, dalla necessità dell'impiego delle proporzioni in ogni ambito dello scibile umano. In questo quadro, le proporzioni non sono soltanto il linguaggio universale delle scienze e delle tecniche, ma anche il criterio con il quale il Creatore ha plasmato il mondo.
Nei libri di Pacioli si rintraccia l'origine dell'idea di fare della matematica la regina delle scienze e di porla a fondamento dello scibile umano, come sarà rappresentata anche in modo graficamente chiaro e accattivante da Nicolò Tartaglia sul frontespizio della sua Nova Scentia.
L'idea di considerare le proporzioni come il linguaggio universale del sapere e l'immagine matematica del mondo che emerge dalla cosmologia platonica rivisitata alal luce della divina proportione cvostituiranno infatti due elementi che spesso ricorrono nelle opere dei principali protagonisti della rivoluzione sceientifica .
E non possiamo non sottolineare la nuova considerazione delle arti meccaniche, delle tecniche e dei mestieri che emerge dai libri. La matematica da una parte fornisce ai tecnici le regole del fare dall'altra provvede alla legittimazione scientifica di quelle regole, grazie alle dimostrazioni logiche basate sulla geometria classica (Euclide).

mercoledì 5 gennaio 2011

Le matematiche nel XV secolo [idee per un articolo]

Abacist vs. Algorismistda Gregor Reisch, Margarita Philosophica
Strassbourg, 1504

Nel panorama culturale del Quattrocento è consuetudine distinguere due tradizioni culturali, diverse nella concezione delle scienze matematiche e nell'uso applicativo.
Da una parte il sapere dei dotti, espresso in lingua latina e coltivato o nelle Università o nelle corti. Dall'altra la cultura pratica diffusa negli strati intermedi alfabetizzati: artigiani, mercanti, architetti, maestri d'abaco, idraulici, cartografi, meccanici, artiglieri e tutti gli altri tecnici, che usavano la lingua volgare e produssero una consistente trattatistica di matematica pratica.
I due mondi comunque rimasero sostanzialmente distinti e poco comunicanti, anche se non mancarono importanti interscambi, in vari ambiti, attraverso traduzioni da un idioma all'altro e interessanti corrispondenze e frequentazioni. Ad esempio alcuni celebri pittori, educati culturalmente all'interno della tradizione pratica e tecnica delle botteghe e delle scuole d'abaco, trovarono in umanisti e dotti matematici utili e validi intermediari. E' questo il caso della collaborazione di Piero della Francesca con i dotti di Sansepolcro che realizzarono le versioni latine del De Prospectiva Pingendi e del Libellus de Quinque Corporibus Regularibus, oltrer con la redazione di una versione latina delle opere di Archimede1.

In generale i due mondi rimasero separati, come dimostra il fatto che anche un artista geniale come Leonardo, si autodefiniva “omo sanza lettere”, ove con “lettere” s'allude alle lettere greche e latine, riservate alla cultura colta.
Nelle università italiane del XV secolo erano attivi gli insegnamenti per la realizzazione di quattro figure professionali: il maestro delle arti, il giurista, il medico e il teologo. Le arti liberali del trivio (grammatica, retorica, dialettica) e del quadrivio (aritmetica, geometria, astronomia, musica) erano soprattutto funzionli alla formazione di medici e teologi, che erano le figure più in vista, soprattutto dopo l'introduzione delle opere di Aristotele (l'Etica Nicomachea, la Physica, il De Anima, il De coelo, De generatione e corruptione, la Metaphysica) nei programmi del trivio, al punto da mettere in secondo piano le materie del quadrivio, coltivate perloppiù nelle facoltà di medicina, in stretta associazione con l'astrologia e la musica. Insomma un ruolo molto marginale. Anche quando sorsero gruppi di studiosi che posero in crisi il sistema filosofico di Aristotele (i francescani Roberto Grossatesta e Ruggero Bacone rivalutarono il ruolo della geometria come mezzo di conoscenza della natura; ad  Oxford Bradwardine impiegò le proporzioni per mostrare le contraddizioni della dinamica aristotelica, a Parigi Buridano e Nicola d'Oresme recuperarno la geometria per la spiegazione della teoria degli urti) la matematica era comunqque al servizio della filosofia, restando
comunque le discipline del quadrivio secondarie rispetto a quelle del trivio.

La matematica nelle Università italiane (Pisa, Bologna, Padova) si basava sullo studio di testi che riassumevano e commentavano alcuni greci, ellenistici e arabi, tradotti in latino (come il De institutione arithmetica di Boezio, la Sfera di Sacrobosco, l'Almagesto, soprattutto i primi tre libri degli Elementi di Euclide) più qualche testo coevo proveniente da Parigi e/o Oxford.
La febbrile attività di traduzione dall'arabo in latino che ebbe luogo a Toledo, Salamanca e Barcellona, ma anche in Sicilia nel corso del XII secolo aveva reso disponibili una quantità di opere estremamente vasta, ma il loro uso nella didattica universitaria fu decisamente  istretto, per vari motivi2. E ai classici si sostituirono dei compendi medievali dotti. Solo in epoca Umanistica, mediante l'instancabile opera di recupero dei codici greci, si concentrarono in Italia gran parte dei classici matematici più importanti (di tradizione greco-ellenistica e arabo-latina) soprattutto nelle biblioteche di Firenze, Venezia, Roma e Urbino. Iniziarono nel XV secolo le traduzioni latine di Euclide e di Archimede, e di studi condotti direttamente dai codici greci. La figura più importante dell'umanesimo matematico è senz'altro il Regiomontano che oltre a fondare la moderna trigonometria, presentò un vero e proprio progetto editoriale per la rinascita della matematica e dell'astronomia.
Parallelamente alla matematica dei dotti, nel '400 si sviluppò la tradizione delle scuole d'abaco3 e degli abacisti, che prese spunto più o meno direttamente dal Liber Abaci (1202) di Leonardo Pisano, detto Fibonacci, autentico modello del manuale di matematica applicata, scritto in latino che, però, non entrò mai nei curricola universitari. Dal Liber Abaci i mercanti ebbero un buon strumento con tutti i rudimenti algebrici per risolvere questioni riguardanti i cambi di valute, i baratti, gli interessi, gli sconti, i pesi e le misure, le leghe metalliche. Quest'opera costituì il “libro di testo” per le botteghe d'abaco del Centro e Nord Italia fino a tutto il XV secolo. In queste scuole (a volte istituite dagli stessi maestri, a volte dalle corporazioni, a volte pubbliche) ragazzi di 10-12 anni venivano formati in algebra, aritmetica e geometria. Il Trattato d'Abaco di Piero della Francesca è un po' anomalo: sebbene sia scritto in volgare allo scopo di esporre “alcune ragioni mercantesche commo baracti, meiti e
compagnie”, delle 128 carte di cui è composto, ben 48 sono dedicate alla geometrie e 56 all'algebra, mostrando grande perizia nel disegno e, soprattutto, conoscvenza diretta degli Elementi di Euclide. Si tratta con ogni probabilità di uno dei massimi livelli della matematica abachistica. Attraverso questi manuali e queste scuole anche i tecnici raggiunsero livelli notevoli di abilità matematiche, su questioni ignorate nella matematica delle università.

Scienza e tecnica restavano separate da un fossato linguistico e sociale.

1 - “l'oratore, poeta e retorico, greco e latino (suo assiduo consotio, e similmente conterraneo) maestro Matheo la reccò
in lingua latina, ornatissimamente, de verbo ad verbum, con esquisiti vocabuli” (L. Pacioli, Summa de arithmetica
geometria proportioni et proportionalità, Venetiis, Paganino de' Paganini, 1494)
2- Alcune motivazioni: la lenta circolazione dei manoscritti; l'incertezza delle versioni, realizzate spesso da persone poco competenti; il tramite arabo, dotato di ben altri strumenti matematici rispetto a quelli della cultura latina medievale; la scarsa importanza del quadrivio.
3- Il Medioevo aveva ereditato dal mondo antico una tavoletta di legno con i bordi rilevati e otto bacchette con palline mobili usate per i calcoli: l'abaco. Ma i trattati d'abaco non presupponevano l'uso di tale strumento: insegnavano a risolvere problemi commerciali tramite cacloli svolti su carta.

LA GEOMETRIA ELLITTICA – modello di Riemann

Questa geometria si ottiene sostituendo al quinto postulato di Euclide il seguente : “Ogni retta  s  passante per il punto P incontra sempre...