martedì 22 febbraio 2011

Il problema di Steiner

L'albero di Steiner per n=3 punti: fornisce la minima distanza
fra i punti A,B,C (minimizza AS+BS+CS) e il punto S è detto
Punto di Steiner


Il famoso studioso di geometria Jacob Steiner, operante a Berlino nella prima metà dell'800, trattò numerose questioni di massimo e minimo utilizzando modi diversi per stabilire le proprietà isoperimetriche del cerchio e della sfera dalle quali dedusse numerosi applicazioni.
Una tra le questioni (già nota a Caratheodory) mostrate da Steiner è la seguente: Tre villaggi A; B; C devono essere congiunti da un sistema stradale di minima lunghezza totale. Matematicamente il problema si traduce nel cercare, nel piano in cui giacciono i punti dati, un punto P tale che sia minima la somma a + b + c delle distanze di P rispettivamente da A, B e C. Sulla scia della dimostrazione delle proprietà tangenziali dell'ellisse si può vedere che la soluzione al problema è la seguente: se nel triangolo ABC tutti gli angoli sono minori di 120°, P è il punto che proietta ciascuno dei tre lati AB; BC; AC, secondo un angolo di 120°. Se un angolo è maggiore o uguale a 120°, il punto P coincide con il vertice di tale angolo. L'opera di raccolta e perfezionamento di Steiner fu continuata da R. Sturm nel suo libro Maxima und Minima in der elementaren Geometrie del 1910. Il risultato di Steiner più famoso ottenuto per via sintetica è il teorema sugli isoperimetri, ovvero che tra tutte le gure piane di dato perimetro il cerchio è quello che racchiude l'area massima. I suoi metodi sintetici furono attaccati dal punto di vista analitico dai suoi contemporanei, primo tra tutti Dirichlet. Sfortunatamente, infatti, Steiner ipotizzava l'esistenza della curva massimizzante, mentre ciò che dimostrò è il fatto che se tale curva esiste allora è una circonferenza. La dimostrazione di una curva massimizzante creò non pochi problemi ai matematici negli anni successivi fi no a quando Weierstrass fece ricorso al calcolo delle variazioni.

martedì 15 febbraio 2011

Matematica e integrazione 2/2

Ecco la seconda parte.

OS: Cosa si aspetta una famiglia cinese dalla scuola e dalla matematica? È possibile un insegnamento generale comune per studenti di culture così diverse come quelle cinese, araba, indiana ed europea?
GN: In una così grande varietà di linguaggi e aspirazioni, è necessario ripensare anche a che cosa vuol dire “insegnamento”. Non possiamo più pensare di calare dall’alto dei contenuti e di metodi nella speranza che qualcuno li acquisisca senza mettervi qualche cosa di suo. La didattica, la matematica stessa, vanno ricostruite classe per classe come patrimonio di quel preciso gruppo di individui, mediando con le necessità poste da programmi ed esami. Anche questi fanno parte di una dinamica culturale che deve basarsi sempre più sullo scambio e sulla condivisione di contributi personali. Non si tratta solo di arricchire il curriculum con elementi matematici provenienti dai altri contesti culturali delle famiglie dei nostri studenti (cosa peraltro auspicabile perché dimostra rispetto nei loro confronti). È necessario stimolare le proposte e la discussione sule convinzioni matematiche che essi portano in classe dal loro ambiente. Algoritmi per le operazioni, metodi di misura, sistemi di inferenza,… ma per far questo è necessario che l’insegnante sappia ascoltare ed osservare i suoi studenti.
Per essere più concreto, racconto un episodio. In un istituto professionale ad altissima presenza di studenti di cultura non italiana di Bologna, io ed alcuni insegnanti notammo che gli studenti filippini di alcune classi prime facevano strani gesti con le dita durante i compiti in classe. Studiammo i loro gesti e poi chiedemmo spiegazioni, stando bene attenti a non intimidirli. Questi studenti, dopo qualche segno di stupore per le nostre domande, spiegarono che si trattava di una tecnica di calcolo con le dita comoda e rapida. Ce la illustrarono e la trovammo geniale. Allora decidemmo che questo sapere doveva diventare patrimonio di tutti. Reclutammo una piccola rappresentanza filippina tra un paio di classi e la mandammo a realizzare una presentazione col computer, promettendo di valutarne l’esito come interrogazione di matematica. Dopo che la presentazione fu mostrata alle classi e la tecnica di calcolo fu recepita a tutti gli studenti, saltarono fuori altre tecniche di calcolo e uno studente bengalese volle realizzare una presentazione su un sistema di conteggio e calcolo basato sulle pieghe tra le falangi delle mani. A lui affiancammo non solo studenti bengalesi, ma anche ragazzi delle più diverse origini. Poi la cosa divenne di moda e diversi gruppetti eterogenei si misero al lavoro. Ne risultarono attività molto coinvolgenti per i ragazzi che si sentirono valorizzati e stimolati. Le presentazioni più belle furono pubblicate sul sito della scuola, dove sono consultabili ancora oggi.
Possiamo dire che abbiamo nelle classe una situazione di multiculturalità e che dobbiamo passare per una fase di elaborazione interculturale per arrivare poi alla costruzione di una transcultura. Questo è il processo delineato da D’Ambrosio, il fondatore dell’etnomatematica. A questo processo siamo sostanzialmente condannati, ma se non lo gestiamo può dare esiti deludenti, che non valorizzano quella messe di contenuti e metodi matematici che ci si presenta.

OS: Il suo approccio ci consente di accennare alla disciplina recente e particolarmente stimolante dell’etnomatematica. Ci dice in poche parole di cosa si tratta?

GN: L’etnomatematica è nata da quel movimento di riflessione su che cosa si studia e si intende per matematica, sviluppato negli anni settanta in Brasile e negli Stati Uniti d’America (non a caso Paesi di immigrazione planetaria). Può essere definita come un programma di ricerca sulla matematica propria dei gruppi socioculturali. Il prefisso “etno-” è inteso nel senso largo di “gruppo umano che condivide esperienze o problemi” e comprende sia piccole società prive di scrittura e residenti in luoghi remoti, sia categorie professionali, comunità religiose o altre collettività particolari che fanno parte delle società avanzate. L’idea fondamentale è che i membri di un certo popolo, gli utenti di un servizio, i giocatori di un certo insieme di giochi di carte, gli ingegneri civili, gli spacciatori di una certa zona di una città… abbiano sviluppato nella loro storia personale e collettiva alcune competenze, idee, e rappresentazioni matematiche e dei loro metodi che hanno aspetti matematici salienti: questi gruppi hanno ciascuno la sua cultura matematica. L’etnomatematica si interessa dei loro metodi di calcolo, misura, stima, inferenza, decisione, sistemi di numerazione, conteggio, rappresentazioni artistiche, concezioni dello spazio e del tempo, tecniche di costruzione di edifici ed opere pubbliche, giochi e di tante altre attività mentali o pratiche che possono essere tradotte nelle forme della matematica accademica.
La matematica viene vista come una pratica legata ai bisogni materiali o simbolici e alle caratteristiche del gruppo sociale che la produce e la condivide. E, dato che le situazioni in cui si trovano i gruppi umani sono diverse, si hanno matematiche diverse con interessi e metodi particolari, che possono in parte essere tradotte col linguaggio unificante della matematica accademica. Si tratta naturalmente di studi di tipo interdisciplinare, che si basano su metodi di osservazione simili a quelli degli antropologi. Ma dato che gli antropologi di oggi studiano assolutamente con tutto (osservazioni dirette, statistiche, racconti, romanzi, canti, opere d’arte, opere scientifiche e tecniche…), anche per gli etnomatematici c’è grande libertà di scelta di metodi e mezzi.
OS: In India del sud si studia la geometria dei kolam, in Oceania i giochi che i bambini fanno intrecciando spaghi. E in Italia, cosa potrebbe studiare un etnomatematico?
GN: Come è già chiaro, il meraviglioso incontro di tradizioni matematiche e didattiche che avviene oggi nelle scuola italiane grazie all’immigrazione ed alla globalizzazione ci offre interessantissime occasioni per imparare e socializzare cose che non conosciamo: algoritmi, rappresentazioni, convinzioni…
Inoltre il nostro Paese ha forse la più ricca tradizione artistica del mondo, con sistemi di rappresentazione e processi ottici variegati. Anche in questo campo c’è ancora molto da scoprire.
Possiamo inoltre volgerci alle tantissime tradizioni artigianali che vanno scomparendo. Per esempio a me, avendone il tempo, piacerebbe esaminare i preziosi ricami e sfilati custoditi nei diversi musei della provincia di Ragusa o nelle cassapanche di alcune nonne. Credo che troverei nelle testimonianze di quell’antica arte femminile delle regolarità di motivi decorativi (nella letteratura specifica più note comepatterns), dei metodi di misura e rappresentazione schematica, e insomma tanta matematica. Quella stessa che si può cercare nei kolam del Tamil Nadu o nei lusona angolani.
Analogamente, anche il mondo delle tecniche di produzione agricola tradizionale è un giacimento di conoscenze e pratiche matematiche. Altrettanto dicasi delle tradizioni religiose o simboliche, delle fiabe o degli usi sopravvissuti dall’era preindustriale. Delle ricette culinarie o di certi giochi.
Sono tanti i linguaggi ed i codici con cui ogni giorno le persone che vivono intorno a noi si scambiano contenuti matematici, spesso senza la piena consapevolezza che le caratteristiche delle rappresentazioni che tali linguaggi impongono possono avere conseguenze sui modelli che si formano nelle loro teste, e quindi sulle loro capacità di analizzare le situazioni. Sono tutti campi di studio che hanno ampie possibilità di ricadute didattiche.

OS: È stato imputato agli etnomatematici di concentrarsi troppo sulle differenze tra culture, una critica peraltro estendibile alle discipline etno- in toto, e poco sulle similitudini. E se ci fosse un sostrato comune che passa inosservato?

Il sostrato esiste senza dubbio ed è costituito dalla comune esperienza umana. Tutti gli stomaci hanno bisogno di cibo, tutti i corpi sentono lo spazio ed il tempo, ma ognuno a suo modo. D’altra parte se ingerissi certi oggetti che per qualcuno sono alimenti prelibati, potrei anche morire avvelenato. Lo stesso vale per i costumi sessuali ed il gusto estetico: certe cose che, anche col massimo della collaborazione io troverei repellenti, ad altri causano festose reazioni biologiche. Anche per la matematica potrebbe essere in qualche modo così. Chi dice che due più due fa quattro dappertutto commette l’ingenua scorrettezza di supporre che “due”, “più” e “quattro”, che di per sé sono oggetti che nella nostra realtà sensibile non esistono e che dobbiamo “vestire” di un’interpretazione, siano la stessa cosa per tutti e ovunque. È chiaro che se pensiamo al numero delle bottiglie da mettere in frigo una accanto all’altra (che sarebbe l’addizione) allora due più due fa quattro, ma già se parliamo di elettroni, di nuvole o di spiriti il discorso può anche essere diverso. Non si contano gli spiriti come le bottiglie, non ci si possono fare le stesse operazioni. E non si tratta la sabbia o l’acqua come i granelli di sabbia o le gocce d’acqua.
Del resto, la crisi dei fondamenti e la questione delle geometrie non euclidee ha insegnato ai matematici ad essere critici prima di tutto con le loro convinzioni più profonde e con ciò che appare ovvio e naturale.
Chi invece fa notare giustamente che nella storia di civiltà anche lontanissime si riscontrano scoperte matematiche sorprendentemente simili (il teorema di Pitagora, lo zero, la rappresentazione dei numeri naturali in base 10, i numeri negativi, il triangolo di Tartaglia, persino il concetto di infinito…), trascura che altrettanto si può dire delle produzioni artistiche ed architettoniche, delle attività economiche o delle forme di governo. Più che ricorrere ad un sostrato di realtà matematica si può pensare alla somiglianza dei problemi di cui quelle conoscenze matematiche costituivano la soluzione. Problemi concreti o simbolici, frutto di menti che, al di là delle differenze, si portavano dentro la comune struttura del cervello umano.

sabato 12 febbraio 2011

Matematica e integrazione 1/2

Lascio da parte le mie consuete riflessioni storiche per divulgare le considerazioni di un celebre etnomatematico, Giovanni Nicosia, in merito al ruolo che la matematica può svolgere nell'integrazione culturale di cittadini di diversa origine etnica e religiosa.
Ringrazio OGGISCIENZA (http://oggiscienza.wordpress.com) per averla pubblicata sul web e ROberto Cantoni per averla realizzata.
Come già avvenuto su OGGISCIENZA, anch'io procederò ad una pubblicazione in due puntate, ecco la prima.



“Ovvio”, penserà una buona parte dei lettori leggendo il titolo. Quasi tutti coloro che abbiano frequentato una scuola superiore avranno infatti incontrato nella loro vita almeno un integrale. Ma l’integrazione di cui si parla qui non è quella dell’analisi matematica. Ci riferiamo invece a un’altra integrazione, quella culturale.
Le classi delle scuole italiane diventano sempre più multiculturali: in alcune zone d’Italia si è raggiunta una percentuale di tutto rispetto di studenti provenienti da famiglie di culture diverse da quelle italiane. Variando la cultura di provenienza degli alunni, varia anche il loro modo di comprendere: a ogni paese possono corrispondere una miriade di retroterra differenti (si pensi anche soltanto alla quantità di gruppi etnici presenti in India). Cambiano quindi le concezioni di studio e di scuola che gli studenti ereditano dalle famiglie; cambiano soprattutto le lingue. Ma non solo: anche materie considerate tradizionalmente “universali”, come la matematica, variano da un luogo all’altro. Lo scienziato strabuzza gli occhi e si chiede come sia possibile: lo abbiamo chiesto a Giovanni Nicosia, insegnante di superiori, collaboratore del Gruppo di ricerca e sperimentazione in didattica e divulgazione della matematica (Rsddm) e del Gruppo di studio internazionale di etnomatematica(Isgem). Nicosia ha pubblicato recentemente due libri, Alla scoperta delle culture matematiche nell’epoca della globalizzazione nel 2008, e Cinesi, scuola e matematica nel 2010, che affrontano proprio il tema del multiculturalismo in matematica.

OS: Nicosia, dopo molti Paesi d’Europa anche in Italia la scuola comincia a diventare multiculturale.
GN: In realtà, è molto tempo che abbiamo classi multiculturali, specialmente nel nord e in tutte le grandi città. Le differenze regionali e sociali sono rimaste enormi sino a quando la televisione e la grande distribuzione commerciale non le hanno piallate via, eliminando le lingue regionali e municipali (i cosiddetti “dialetti”) e uniformando i comportamenti. L’Italia è il Paese delle città-stato, dei rimescoli di popolazioni e delle migrazioni. E non si tratta di differenze da poco: lingue con lessico e sintassi anche molto diversi e con storie diverse (il bolognese, il sardo, l’albanese, il tedesco…), religioni (oltre alla presenza storica di ebrei e valdesi, chiediamoci che cosa avranno in comune il rito ambrosiano e certe forme di devozione che si incontrano al sud, pur nell’involucro del cattolicesimo italiano), e in generale modi di vivere, sistemi di credenze e usi. Se penso al condominio in cui sono cresciuto, a Bologna, diciamo negli anni ’80, in quindici appartamenti erano rappresentate sette regioni (tre in casa mia) e continuamente ci si stupiva per quello che dicevano o facevano i vicini.
A lungo questa diversità è stata vista come un peso e nascosto, forse perché contrario alle pretese di omogeneità dell’ideologia dello Stato-Nazione, ed è stato combattuto. Ma questo atteggiamento che animava l’azione della scuola e di tante altre istituzioni culturali ha fatto sparire codici e saperi.
Oggi siamo generalmente un po’ più aperti: per dirne una, le erbe che usano gli indios brasiliani o gli infusi della medicina tradizionale cinese sono allo studio delle multinazionali farmaceutiche, che hanno capito che ci può essere del buono e quindi da guadagnare.
OS: Crede che, per venire incontro alle nuove esigenze, occorrerà modificare i testi scolastici?
GN: L’obsolescenza dei libri e dei programmi è un eterno problema della scuola italiana. In campo matematico poi il conservatorismo di insegnanti, editori e persino studenti, che sono rassicurati dalle vie battute, è impressionante. Ha grande successo un testo la cui prima edizione risale agli anni ’40 del secolo passato! Un altro, anch’esso molto diffuso, risale alla fine degli anni ’60. Sempre aggiornati di anno in anno, con impaginazioni, figure e capitoli nuovi, e sempre mostruosamente uguali a loro stessi, presentano una matematica che si rivolge ad un pubblico che non esiste più. Ragazzi che hanno competenze nuove nate dall’uso del cellulare e di mille altri strumenti vivono una matematica che con la loro vita ha ben poco a che fare. Ho parlato delle superiori: alle elementari le cose vanno molto meglio, nel senso che gli insegnanti sono più coraggiosi nello sperimentare cose nuove. Tra gli aggiornamenti, insieme a qualche tema di storia della matematica, compaiono ora anche temi interculturali, ma per lo più velati da una forma di esotismo ingenuo. Si dice che i Cinesi “facevano” i quadrati magici, come se si potesse parlare solo di mandarini morti da mille anni. I Cinesi “facevano” i quadrati magici così come i Romani “facevano” gli acquedotti: oggi gli uni e gli altri fanno anche molte altre cose. Molti dei genitori dei nostri studenti di cultura cinese sanno usare con relativa destrezza il pallottoliere, in casa si dilettano di gare di calcolo mentale rapido, e se gli chiedi di fare una divisione ti stupiranno per l’algoritmo che usano. Ma ci sono insegnanti in tutte le scuole che non accettano che quello che hanno imparato ed insegnato loro: una divisione è corretta se e solo se è fatta con quell’algoritmo che ritengono l’unico universalmente valido, di cui magari ignorano la storia ed il nome. È una forma di provincialismo dalla quale la nostra cultura scientifica, quella vissuta nelle nostre scuole, stenta un po’ a liberarsi.
OS: Si è sempre parlato di differenze culturali in ambito letterario, storico, gastronomico. Ma almeno le scienze non dovevano essere “oggettive”?
GN: Direi piuttosto che ciò che dovrebbe stupirci è perché invece la matematica sia stata ritenuta unica ed universale, come se non fosse una delle tante attività umane, produzione di uomini aggregati in gruppi sociali che condividono simboli e codici di comunicazione. La pretesa oggettività della scienza si riduce, in realtà, alla rispondenza di una parte di queste produzioni a certi criteri di accettabilità che nel corso di secoli sono stati elaborati ed imposti universalmente da un gruppo sociale e culturale molto importante (quello che ha creato il sistema economico e simbolico interdipendente in cui viviamo oggi), ma non erano certo gli unici e inoltre sono molto cambiati nel tempo. Quello che era oggettivo per Galileo (se vogliamo tagliare fuori gli antichi) non lo era per tanti altri e non è detto che lo sia anche per i contemporanei, e d’altra parte credo che Galileo non avrebbe mai potuto accettare la teoria del caos o la meccanica statistica. In matematica tutto ciò è anche più evidente, anche se, curiosamente, meno accettato. Gli storici riconoscono a Cauchy il merito di avere finalmente dato una definizione di limite, ma se andiamo a leggere i suoi testi del 1821 e 1823 troviamo che le asserzioni sono concatenate in un modo che ai contemporanei non suona corretto: anche il rigore logico è esposto alle evoluzioni della storia. Nella storia della scienza ci sono molti casi del genere. Le scienze evolvono, oltre che per sviluppi interni, soprattutto in relazione alle esigenze delle società e dunque possono essere molto diverse tra loro per interessi e per metodi a seconda del gruppo umano che le produce. L’agopuntura è oggi considerata una terapia scientifica dalla maggior parte dei medici, ma una trentina d’anni fa la si derideva come una specie di stregoneria. Cose del genere sono successe anche al matematico boemo Bolzano (che era un tipo controcorrente per diverse ragioni) e al tedesco Dirichelet.
OS: A proposito di multiculturalità: è molto diffusa l’idea che gli studenti cinesi e indiani siano particolarmente dotati in matematica. Lei che ne pensa?
GN: È verissimo. Salvo variabili individuali, solitamente gli studenti cinesi e dell’area indiana sono moto bravi. Seguono poi i ragazzi dell’Europa dell’Est e del decaduto impero sovietico. Lo dimostrano sia le rilevazioni internazionali (le più famose sono P.I.S.A. e T.M.M.S.) sia le testimonianze di tanti insegnanti delle scuole italiane. Imparano in fretta le procedure e le definizioni ma sono bravi anche nelle inferenze e deduzioni, che sono la parte interessante ed utile.
Le spiegazioni di tali ottime capacità sono diverse. Prima di tutto nelle culture cinese e indiana la scuola è importantissima. Nelle famiglie di questi ragazzi si ha l’idea che per studiare abbia senso affrontare anche grandissimi sacrifici e che quando si è a scuola ci si debba comportare molto seriamente. Le famiglie fanno grande propaganda perché i loro rampolli si impegnino al massimo e ottengano ottimi risultati. D’altra parte in Cina e in India è anche vero che il voto in matematica ed in inglese può fare grandi differenze nella vita futura, può aprire delle carriere, e forse è questo che hanno in testa quei genitori, anche se in Italia la situazione è ben diversa. La scuola non è vista solo come preparazione ad uno studio di ordine superiore (tipicamente l’università) ma come formazione della personalità per la vita futura. Inoltre l’autorità dell’insegnante è rispettatissima. Tutto questo vale in misura un po’ meno accentuata anche per gli studenti dell’Europa dell’Est, le cui famiglie propongono spesso idee di scuola legate a metodi senza dubbio un po’ opprimenti, ma basate comunque su di un intenso impegno personale.
C’è poi un secondo motivo, anche questo di carattere socioculturale: tra i diversi campi del sapere e delle attività ritenute interessanti, cinesi, indiani, romeni e russi mettono ai primi posti proprio la matematica. Passatempi matematici caratterizzano le storie di queste culture, ci sono testimonianze anche molto antiche di attività di raccolta di problemi e manualistica tecnica e scientifica. Si raccontano leggende in cui il ragionamento logico è la chiave per il trionfo dei protagonisti sulle avversità, e le opere dell’ingegneria e della tecnologia (dalla Grande Muraglia allo Sputnik) sono sovente apprezzate per le loro caratteristiche tecniche. Nel sentire diffuso di queste popolazioni una persona è ritenuta colta o intelligente se conosce molta matematica, a differenza di quanto accade nella cultura italiana, in cui si prediligono le lettere e le arti.
Un terzo motivo riguarda invece la struttura delle lingue e dei sistemi di rappresentazione dei numeri. Studi linguistici e statistici dimostrano un’interessante connessione tra la lingua cinese e la buona riuscita in matematica in scuole di diversi Paesi. Il sistema della lingua cinese per nominare e scrivere i numeri (cioè il sistema dei “numerali”) è forse quello più regolare al mondo, per cui basta pronunciare o scrivere per bene un’addizione perché essa appaia già in una forma comoda per i calcoli. Ciò è particolarmente evidente per le somme tra numeri della seconda decina, che invece fanno impazzire gli studenti delle prime classi delle elementari italiane. Riuscendo bene fin dall’inizio, i bambini cinesi non si spaventano dei calcoli, non associano alla matematica l’idea di una materia difficile e noiosa, e quindi proseguono con buoni risultati.
Qualcosa di simile si può dire dei bambini russi e romeni, che in più hanno una lingua ricca di concordanze e declinazioni che li abitua al ragionamento logico.
Un ultimo elemento si può trarre dalla struttura della lingua cinese, che è composta di caratteri da comporre tra loro con modalità che stimolano il ragionamento algebrico. Anche le modalità di scrittura delle lingua indiane hanno probabilmente effetti positivi sul modo di rappresentare numeri e spazio.

sabato 5 febbraio 2011

La matematica nella storia dell'Italia unita



Il Centro PRISTEM dell’Università Bocconi di Milano organizza presso l’Università “Carlo Bo” di Urbino dall’8 al 10 aprile il corso di aggiornamento/formazione “La Matematica nella storia dell’Italia unita”.

In linea con le celebrazioni per i 150 anni dell’Unità, che si prospettano come un importante appuntamento storico e culturale per riflettere insieme sulla moderna storia italiana, sarà l’occasione per discutere il ruolo svolto da scienza e scienziati per lo sviluppo del Paese.
Il Convegno ripercorrerà nelle diverse fasi storiche successive all’Unità – i primi decenni del nuovo Stato, gli anni della prima guerra mondiale, quelli del fascismo, la repubblica e la seconda metà del secolo – il cammino percorso dalla Matematica italiana: le sue acquisizioni, i contatti internazionali, i rapporti con la Fisica e le altre discipline, la partecipazione dei suoi esponenti alla vita scientifica e sociale del Paese. La descrizione costituirà l’occasione per ribadire l’importanza della Matematica nella vita sociale e culturale del Paese.
Verranno sottolineati i momenti “forti” di questa storia ma anche, in una prospettiva che vuole tenersi accuratamente lontana dai toni agiografici, le occasioni mancate per radicare ulteriormente la presenza scientifica nella realtà italiana. L’analisi si sposterà allora sulle responsabilità della classe politica, sulla composizione della nostra classe dirigente, sulla consistenza dell’apparato industriale, sul dialogo tra le diverse culture, sull’atteggiamento tenuto dagli stessi matematici nei confronti del contesto sociale. Le riflessioni sullo sviluppo scientifico – quello che si è concretizzato e quello che è mancato, quello che poteva essere e non è stato – sono una chiave preziosa per comprendere molte situazioni in cui la nostra società si trova immersa anche oggi.
Tutte le informazioni sono reperibili sul sito: matematica.unibocconi.it. per ulteriori indicazioni ci si può rivolgere alla segreteria del Centro PRISTEM tel 02 58362670; fax 02 5836.5617; e-mail debora.rossini@unibocconi.it.
PROGRAMMA
Venerdì 8 aprile
Ore  15.00 Indirizzo di saluto del Rettore dell’Università di Urbino, Stefano Pivato (docente di Storia contemporanea)
Ore 15.15 Angelo Guerraggio (Università “Bocconi” di Milano e Università dell’Insubria di Varese): “Uno sguardo d’insieme sulle vicende della Matematica italiana”
Ore  16.15 Rossana Tazzioli (Université de Lille 1): “I matematici del Risorgimento”
Ore 18.00 Mauro Moretti (Università per Stranieri di Siena): “Organizzazione e governo della scienza. L’opera degli scienziati italiani dopo l’unità”.
Sabato 9 aprile
Ore 9.00 Laurent Mazliak (Université Paris 6): “La matematica di Émile Borel nella transizione tra ‘800 e ‘900”
Ore 10.00 Enrico Rogora (Università “La Sapienza” di Roma “Il periodo d’oro della Geometria algebrica italiana”
Ore 11.30 Giulio Maltese (Società Italiana degli Storici della Fisica e
dell’Astronomia, Roma): “Ascesa, splendore e rovina della fisica italiana tra fine Ottocento e primi decenni del Novecento”
Ore 12.30 Enrico Gamba: “Scienza e tecnica nell’Urbino rinascimentale”
Ore 15.00 Pietro Nastasi (Università di Palermo): “I matematici italiani di fronte al fascismo”
Ore 16.00 Luisa Bonolis (Deutsches Museum, Monaco) “La fisica italiana alla riconquista dell’eccellenza. Dalla ricostruzione del dopoguerra agli anni del boom.”
Ore 17.30 Mimmo Franzinelli (scrittore, storico, Brescia) “L’epurazione mancata. Politici, magistrati, poliziotti e scienziati dal fascismo alla democrazia (1944-46)”
Ore 18.30  proiezione del film “Ludwig Boltzmann, Il genio del disordine” di Giuseppe Mussardo
e Petra Scudo. Regia di Enrico Agapito.
Domenica 10 aprile
Ore     8.30 Visita a Palazzo Ducale
Ore 10.30 Settimo Termini (Università di Palermo): “La rivoluzione informatica del secondo dopoguerra”
Ore 11.30  Gian Italo Bischi (Università di Urbino): “Bruno de Finetti: un matematico a tutto tondo”
Ore 12.30  Dibattito finale  conclusione dei lavori.
Per tutte le informazioni far riferimento al sito: http://matematica.unibocconi.it/

Esatti e leggeri come numeri



Gabriele Lolli, docente di logica e di filosofia della matematica (alla Scuola Normale Superiore di Pisa), ha pubblicato mercoledì scorso un bell'articolo su "Tuttolibri" de "La Stampa", facendo alcune considerazioni sulle Lezioni Americane di Italo Calvino. Il titolo di questo post è preso dall'articolo in questione.


Quel libro di Calvino fu una delle mie letture da studente universitario e influenzò non poco la mia decisione di abbandonare Ingegneria per iscrivermi a Matematica. In particolare fu il capitolo denominato "Esattezza" a colpirmi. E proprio di questo parla, con interessanti suggestioni, Gabriele Lolli.


Credo proprio che il suo libro sulle Lezioni Americane finirà nel mio scaffale, a fianco a quello di Italo Calvino. 
Muovendo dalla dichiarazione di Calvino secondo la quale "l'atteggiamento scientifico e quello poetico coincidono: entrambi sono atteggiamenti insieme di ricerca e di progettazione, di scoperta e di invenzione", Gabriele Lolli scopre che le Lezioni americane possono essere lette come una parabola della matematica e che gli argomenti in esse trattati (Leggerezza, Rapidità, Esattezza, Visibilità, Molteplicità) sono proprietà essenziali del pensiero matematico creativo. 


Ecco il link: http://www3.lastampa.it/fileadmin/media/settimanali/tuttoscienze/PDF/2.pdf
Buona lettura

LA GEOMETRIA ELLITTICA – modello di Riemann

Questa geometria si ottiene sostituendo al quinto postulato di Euclide il seguente : “Ogni retta  s  passante per il punto P incontra sempre...