martedì 26 marzo 2013

La quadratura del cerchio e la nascita del sonetto nel Medioevo

Riporto - con estrema curiosità - un articolo "pescato" in rete. 
Si tratta di un lavoro di ricerca svolto dalla classe I del Liceo Scientifico P.M. Vermigli, Ahmad Danilo, Di Gregorio Maria, Ribeiro Joana, Rizzo Antonio, Rosanò Jonny, Romanelli Tommaso, Semere Manuela con la guida della prof.ssa Maria Cristina Pizzichini. Non sono in grado di dire l'anno, ma si tratta del Liceo Vermigli di Zurigo.



Introduzione
I quesiti che hanno turbato maggiormente i sonni degli uomini medievali sono stati quello della quadratura del cerchio e quello della definizione della proporzione aurea, al punto da esserne coinvolti a livello psicologico. Il grande matematico Leonardo Fibonacci, alla corte di Federico II, se ne occupò in maniera assidua. 
Nella quadratura del cerchio si presentano i numeri 11 e 14. Ambedue i numeri sono notevoli nel sonetto, infatti esso è composto da 14 versi ognuno di 11 sillabe. Ma perché sempre e soltanto versi di undici sillabe? Perché sempre e soltanto quattordici versi? 
Lo scopriremo insieme in questo nostro percorso. Andremo a ricercare la risoluzione al problema della quadratura del cerchio, ciò che molti hanno tentato di fare, a partire da Archimede e anche ora prima dalla formula di Ahmes. 

Ci occuperemo anche della magia di questo numero undici e del condizionamento che ha avuto sulle popolazioni medievali, e… siccome siamo in Svizzera vi racconteremo una leggenda della città di Solothurn (Soletta)


La quadratura del cerchio
Questo problema relativo alla quadratura del cerchio ha una storia talmente lunga che non basterebbe un piccolo e semplice lavoro come il nostro per essere descritto.
Anche Dante ne parla nel “Paradiso” ( Divina Commedia III. 3). 
Il problema consiste nel trovare un quadrato di area uguale a quella di un cerchio, ma ciò soltanto nel XIX secolo è stato considerato impossibile da risolvere. Così la ricerca puramente geometrica della soluzione è stata sostituita da una ricerca della natura del rapporto fra l’area e il quadrato del cerchio, cioè sulla natura del numero Π (pigreco).
Possiamo enunciare in termini moderni il problema: affinché un quadrato possa avere la stessa area di un cerchio di raggio r ( e dunque di area Π r ² ) dovrebbe avere per lato la radice quadrata di Π r ², cioè r √Π. La figura metrico-geometrica del cerchio del sonetto, mette in luce una serie di concordanze perfette, osservabili fra le misure del sonetto e le misure del cerchio definito dai valori d=14 q=11. 
Le concordanze in questione riguardano le misure seguenti:



14x11
7x22
(4x22)+(2x33)

I valori 14 e 11 rappresentano:
- le misure metriche basilari della forma poetica che vengono definite da 14x11 e confermate da più di 700 anni di tradizione letteraria;

- le misure di uno dei tre modelli di disposizione grafica del sonetto, il tipo A, secondo il quale i 14 endecasillabi sono disposti l’uno sotto l’altro in una sequenza di 14 versi;
- l’intera geometria del Medioevo risolve il problema della misurazione del cerchio utilizzando i valori 11 e 14 come strumenti di calcolo;

- c’è una corrispondenza numerica strutturale del sonetto;
- la relazione non prova ancora niente per quel che riguarda la concreta corrispondenza fra il cerchio e la forma poetica, però si può dedurre sia stato esso ad ispirarlo.
Nel Medioevo il cerchio era un’immagine geometrica della Creazione. Infatti, lo notiamo nell’iconografia medievale dove vi è il Creatore come architetto.
Ad ispirare la celeberrima struttura del sonetto, si pensa che fu, per l’appunto, l’attività di Fibonacci in concordanza con le Scuole Siciliane alla corte di Federico II . Inoltre, nel pensiero medievale la figura circolare rivela grande importanza come chiave estetica, cosmologica e filosofica.
Data la relazione fra il cerchio d=14 e il modello metrico del sonetto, vi è il termine Sonettkreis (cerchio del sonetto).
Raccogliamo nella seguente tabella le equivalenze numeriche osservabili fra il sonetto e il cerchio sulla base delle misure (14x11) e (7x22):



Uno dei sonetti che maggiormente ci ha ispirato è quello di Pieraccio Tedaldi (ca. 1285-1350)

Qualunque vòl fare un sonetto
e non fusse di ciò bene avvisato,
s‘e‘ vuol esser di questo ammaestrato
apra gli orecchi suoi e lo `ntelletto

Aver vuol quattro piè l‘esser diretto,
e con dua mute, et essere ordinato,
et in parte quartodici appuntato,
e di buona rettorica corretto.

Undici silbe ciascun vuole punto
e le rime perfette vuole avere
e con gentil vocabuli congiunto;

dir bene alla proposta il suo dovere:
e se chi dice sarà d‘amor punto,
dirà più efficace il suo parere.

Undici, il santo numero di Soletta
Come divenne l’undici il numero di Soletta?
C’era una volta un piccolo, solitario, triste paesino di nome Soletta (Solothurn).
Non c’era luce, era completamente buio.
Ma la cosa peggiore è che non c’erano bambini.
Per questo motivo era poco vivace.
Non sapevano cosa volesse dire giocare e non sapevano cosa fosse il divertimento, tutti erano seri e nessuno di loro sapeva cosa volesse dire ridere.
Un giorno, gli abitanti del mondo degli elfi videro in quale situazione si trovava Soletta.
Furono molto scioccati da questa visione, perché il mondo degli elfi era esattamente l’opposto di Soletta.
Vennero allora mandati undici elfi travestiti da bambini dal loro signore. Lungo la strada gli elfi si diedero un nome: “Undici, Divertimento, Gioco, Risata, Felicità, Amore, Collaborazione, Allegria, Morbidezza, Chiarezza e Apertura”.
Gli undici bambini videro già da lontano il villaggio. Fuori non c’era nessuno, era completamente vuoto.
Appena entrarono nel paesino, esso si illuminò.
Quando gli abitanti del villaggio videro questo, corsero fuori. Quando videro i bambini si ricordarono il significato del divertimento avuto.
Celebrarono una festa per gli undici bambini e gli fecero molte domande, per esempio: “Da dove venite?” I bambini risposero: “Veniamo da un mondo in cui i bambini non diventano mai grandi. Questo mondo è pieno di divertimento e siamo venuti qua, per regalarvi undici anni di divertimento e risate!”.
Quando gli abitanti udirono ciò furono doppiamente felici.
Gli anni passarono e la gente divenne più felice.
Le donne incominciarono a procreare.
All’inizio, la gente era triste per il fatto che gli elfi se ne erano andati; ma furono comunque molto felici perché in paese c’erano molti bambini e quindi da un paesino divenne una città.
E poiché fu tutto merito degli elfi, costruirono come ricordo 11 fontane, 11 scale e così via! Per questo il simbolo di Soletta è il numero undici.

Bibliografia
Dizionario di Matematica” di Stella Baruk Zanichelli;
Nascita del Sonetto di Wilhelm Pötters Longo Editore Ravenna;
Leggenda del numero 11 di Irem Bilem dal libro “Leben am Jurasüdf“uss”





domenica 3 marzo 2013

JACOPO DA CREMONA : MATEMATICHE NEL RINASCIMENTO


Nella vicenda culturale e professionale di Jacopo , successore di Vittorino da Feltre , e traduttore dal greco inlatino delle opere di Archimede , sembrano compenetrarsi in modo esemplare la dimensione letteraria e quella scientifica dell'Umanesimo .


Quando nel 1544 la versione latina delle opere di Archimede fu stampata a Basilea insieme all'" editio princeps " in greco , Jacopo era già scomparso da un secolo . Che cosa indusse Thomas Gechauff , detto Venatorius , editore di questa fondamentale raccolta archimedea , a scegliere la versione latina dei
testi del matematico siracusano curata dall'allievo e successore di Vittorino da Feltre ?
Quando poi il matematico Cristoforo Clavio , nel 1599 , redigendo per la Ratio Studiorum dei Collegi gesuiti , il programma di insegnamento delle scienze matematiche , introdusse lo studio delle opere di Archimede , l'edizione di Basilea aveva già avuto vasta circolazione e lettori illustri . Quale fu , allora , il reale contributo dell'umanista Jacopo all'insegnamento delle scienze matematiche nel XV e nel XVI secolo e quale il suo ruolo nella rinascita archimedea che precedette e accompagnò la rivoluzione scientifica ?(1) Forse per rispondere ci si dovrà chiedere quale correlazione vi sia stata tra la sua esperienza didattica alla Ca' Giocosa di Mantova e il suo paziente lavoro di filologo e traduttore di opere scientifiche dal greco al latino . "Non è infatti un caso - scrive al riguardo Cesare Vasoli - che dalla scuola umanistica uscissero anche medici , uomini di scienza e traduttori di testi essenziali della scienza antica , come Jacopo di S. Cassiano che fu uno degli autori della rinnovata fortuna di Archimede " .(2) Nell'esperienza particolare di Jacopo , l'interesse personale per lo studio delle lingue greche e latine si coniugò con le ricerche in campo matematico e con una diretta esperienza di insegnamento . D'altro canto la storiografia delle scienze  matematiche fornirebbe oggi un quadro incompleto e darebbe una interpretazione deformata della valenza culturale della scienza se non considerasse anche le connessioni intercorse in ogni epoca storica tra la matematica e gli altri ambiti disciplinari ed esperenziali . Diviene allora importante , per poter cogliere l'articolazione interna delle diverse discipline matematiche e il loro trasformarsi sino a costituire modello di riferimento per ogni forma di conoscenza , analizzarne i processi fondamentali di insegnamento e apprendimento nel corso della storia (3). Nella formazione personale di Jacopo , l'umanesimo pedagogico del " contubernium " fece da guida agli interessi filologici e ai successivi studi nel campo delle scienze matematiche .


Jacopo allievo e successore di Vittorino da Feltre  
Alcuni elementi biografici , relativi alla formazione giovanile di Jacopo e alla sua successiva esperienza di docente , appaiono particolarmente interessanti .
Egli ,compiuti gli studi giovanili a Cremona , divenne , come conferma lo storico della scienza G. Sarton , canonico regolare di Sant'Agostino (4). Nel XV secolo , a Cremona , come in altri centri dell'umanesimo italiano , convivevano nell'ambito matematico due distinte tradizioni : una " cultura matematica dotta " , coltivata nell'insegnamento universitario e una " cultura matematica pratico-operativa " insegnata nelle scuole d'abaco attraverso i manuali in volgare . Ne è esempio , fra tutti , l'opera del cremonese Leonardo Antoni , autore di una " Pratica geometriae o Artis metrice practicae compilatio " , che fu docente a Bologna sin dal 1405 - 1406 . Il livello notevole raggiunto dagli studi dell'Antoni è testimoniato da un passo tratto dal Codice Atlantico [f. 247 ra] in cui Leonardo da Vinci afferma : " Tolli l'opere di Leonardo Chermonese " .
E' molto significativo che già nei manoscritti l'opera di Leonardo Antoni compaia sia in latino che in volgare . Nel trattato dell'Antoni si trova , tradotta in volgare e seguita da un esempio numerico di applicazione della formula , la regola di Erone per il calcolo dell'area di un triangolo in funzione dei suoi lati . L'uso di tale regola , presente nell'opera della tradizione araba dei Banu-Musa e nota col titolo " Verba filiorum " , tradotta in latino da Gerardo da Cremona ( sec. XII ) , segnala che il matematico cremonese del XV secolo era a conoscenza delle ricerche geometriche archimedee della tradizione greco-araba . Il lavoro di ricerca e insegnamento dei matematici del Quattrocento , come Leonardo Antoni ,a cui anche Jacopo deve la propria iniziale formazione scientifica , si sviluppò in pieno Umanesimo . Essi così alternarono la riscoperta dei classici con i tentativi , sempre più frequenti , di dare alle loro opere una veste manualistica che ne consentisse da un lato la più vasta circolazione e , dall'altro , finalizzasse i loro testi direttamente all'insegnamento . E' infatti chiaramente evidente un lento ma significativo e parallelo procedere tra la traduzione e la diffusione delle opere matematiche della tradizione greco-araba e l'affinamento della prassi didattica nella cultura occidentale come documenta il Beaujouan (5) .
Contemporaneamente , si andavano diffondendo le scuole d'abaco e i testi della matematica abachistica iniziavano a comparire nelle principali biblioteche , sia religiose che accademiche e laiche , a testimonianza della chiarezza e fruibilità dell'insegnamento delle scienze matematiche in essi contenuto .
Molte biblioteche si arricchirono così , nel corso del XV secolo delle trascrizioni di tali testi matematici , accanto ai codici latini e greci. Esemplare , in tal senso , secondo un inventario del 1407 , è la biblioteca allestita dai Gonzaga a Mantova . Ed è proprio in questa città che Jacopo si trasferì per proseguire i propri studi presso la Ca' Giocosa sotto la guida di Vittorino Rambaldoni da Feltre ( 1378 - 1446 ) . Vittorino , studente a Padova della Facoltà delle Arti e allievo di Giovanni Conversino ( 1343 - 1431 ) e del Barzizza ( 1360 - 1431 ) , manifestò un personale interesse giovanile per le scienze matematiche . Seguì l'insegnamento di Jacopo della Torre e cercò di avere da Biagio Pelacani di Parma , uno dei più tipici fisici moderni legato alle dottrine dei calculatores , l'iniziazione ai misteri geometrici degli Elementa di Euclide.

Negli anni trascorsi sotto la guida di Vittorino , Jacopo ebbe come compagni di studi futuri principi quali Ludovico Gonzaga e Federico da Montefeltro , chierici destinati alla carriera ecclesiastica come Giovanni Andrea Bussi , traduttore di Livio , divenuto poi segretario di Nicolò Cusano (1401 - 1464 ) , insieme ad una schiera di illustri umanisti e filologi . Il cremonese studiò il greco con maestri d'eccezione , come Giorgio di Trebisonda , chiamato da Vittorino ad insegnare alla Giocosa nel 1430 e Teodoro Gaza che vi insegnò nel 1440 . Del resto lo stesso Vittorino conosceva bene il greco dal momento che , come annota il Castiglione : " Per tutto l'inverno lo vidi che , dopo cena , leggeva , assolutamente all'improvviso , senza difficoltà alcuna , il libro di Euclide ad uno dei suoi scolari (6) ". E' assai probabile che lo stesso Jacopo , avendo già manifestato particolari attitudini in campo matematico , abbia potuto ascoltare una simile lettura direttamente dalla voce del maestro. Jacopo fu certamente guidato da Vittorino m che aveva seguito le lezioni di logica di Paolo Veneto , già allievo delle scuole di Oxford e di Parigi , a distinguere le caratteristiche logico-dimostrative delle argomentazioni legate alle procedure adottate da Euclide nelle diverse proposizioni : dalla " reductio ad absurdum " , alla " consequentia mirabilis " . Tutte conoscenze logicomatematiche di cui Jacopo farà tesoro quando dovrà affrontare la traduzione di opere matematiche complesse quali quelle di Archimede . Gli umanisti , infatti , si accostarono ai trattati matematici , da Euclide ad Archimede , come a compiute opere di logica . Alla morte di Vittorino , avvenuta nel 1446 , Jacopo gli successe sia come precettore dei figli della famiglia Gonzaga sia nella direzione della Ca' Giocosa . Ne è testimonianza la lettera di Ludovico III Gonzaga , datata 7 giugno 1449 e indirizzata al Pontefice Nicolò V . Jacopo conservò gli ideali di " vita pitagorica " appresi da Vittorino e secondo lo schema disciplinare , predisposto dal maestro , insegnò teologia e filosofia , logica e scienze matematiche . Ricorda in proposito Sassolo da Prato , già alunno e collaboratore di Vittorino nell'insegnamento della matematica e della musica dal 1438 al 1444 , " vengono quindi le Matematiche , l'Aritmetica , la Geometria , l'Astrologia e la Musica , le quali meritano propriamente d'esser chiamate discipline , come scienze esatte e positive " (7) .


Jacopo traduttore di Archimede
Nel 1449 , Jacopo si trasferì a Roma e nello stesso anno del suo arrivo presso la curia pontificia ricevette dal papa Nicolò V l'incarico di tradurre dal greco in latino il manoscritto oggi denominato come codice A contenente tutte le opere allora conosciute di Archimede (8). Tale codice era conservato nella biblioteca vaticana sin dal XII secolo . La decisione del pontefice fu certamente dettata anche dalla fama di profondo conoscitore delle lingue greche e latine e di " doctissimus mathematicus " che aveva preceduto Jacopo prima del suo arrivo a Roma . Egli aveva , infatti , già intrapreso la traduzione della " Bibliotheca historica universalis " dello storico greco Diodoro Siculo ( I sec. a.C.) . In un manoscritto , del 1469 , conservato oggi a Londra fu trascritta la traduzione di Jacopo dell'opera di Diodoro (9) . Nel volume primo dell'opera di Diodoro , Jacopo lesse la narrazione del viaggio di Archimede in Egitto e la sua invenzione della vite senza fine , detta " coclea " . Jacopo , inoltre , conosceva l'opera di Plutarco , presente nella biblioteca di Vittorino . Ed è a Plutarco che si devono interessanti osservazioni di carattere epistemologico sull'opera matematica di Archimede . Questo bagaglio di conoscenze pregresse consentì a Jacopo di accostare il testo archimedeo con competenza e di individuarne , grazie alla propria formazione umanistica , le diverse chiavi di lettura . Alla versione latina delle opere di Archimede Jacopo dedicò gli anni dal 1449 al 1453 , eseguendo anche la versione dei Commentarii ad Archimede composti da Eutocio di Ascalona( sec. V-VI d.C.) . Nella stesura della propria traduzione , Jacopo ebbe modo di consultare una precedente versione latina dei testi archimedei eseguita nel 1269 dal domenicano Guglielmo di Moerbeke (1215 - 1286 ) , custodita nella Biblioteca Vaticana .
M. Clagett ha condotto un'accurata analisi testuale , raffrontando la versione di Jacopo con quella del Moerbeke . Da questo studio emerge con chiarezza , come afferma lo stesso Clagett , che" .. Moerbeke's being literal , while Jacobus' is considerably freer " (10). Alcuni passi delle due traduzioni , raffrontati con l'originale greco , suffragano le tesi del Clagett . Ad esempio , Jacopo usa di preferenza il termine " portiones " anziché " sectores " , riferendosi alle aree comprese tra due tangenti e un arco del cerchio . In altri passi del manoscritto greco , ove si legge " λαμβανομένοισ " , Guglielmo traduce " acceptis " , mentre Jacopo rende con " sumptis " , accentuando il carattere ipotetico dell'assunzione . Si tratta evidentemente di due differenti stili di traduzione , oltre che della diversità tra il latino medioevale e quello dell'Umanesimo . Jacopo , redigendo la propria versione , ha ben presente la sua personale esperienza di docente e finalizza l'opera anche alla comunicazione orale costituita dalla lectio ai discenti del contubernium . Il testo deve quindi essere chiaro , comprensibile e scritto in lingua latina scorrevole, a differenza di quello letterale e conciso del Moerbeke . E' così riscontrabile una diretta correlazione tra l'attività di magister svolta
da Jacopo e le sue personali opzioni linguistiche e terminologiche nella traduzione delle opere archimedee . Lo attesta il raffronto diretto tra il testo greco e la versione latina di Jacopo . Ad esempio , nel libro primo dell'opera archimedea De sphaera et cylindro libri nel testo greco è scritto " .. κύκλω δοθέντος καί δύο μεγέθων άνίαων " e in latino , nella versione del cremonese , .. " circulo dato e duabus magnitudinibus in aequalibus " . Già nel corso del Quattrocento il manoscritto contenente le traduzioni archimedee di Jacopo ebbe numerosi lettori e importanti trascrizioni . Uno dei primi lettori della stesura manoscritta dell'opera di Jacopo fu il cardinale filosofo e matematico Nicolò Cusano ( 1401 - 1464 ) . Egli aveva come segretario a Roma proprio quel Giovanni Andrea Bussi , già compagno di studi di Jacopo a Mantova .
L'attribuzione a Jacopo della versione latina delle opere archimedee si ha , per la prima volta , nel 1456 nello scritto di Bartolomeo Facio De viribus illustribus liber (11) . La seconda e definitiva attribuzione delle opere di Jacopo si deve al Regiomontano ( Johann Muller , da Konigsberg 1436-1475 ) che nel 1462 , a Roma , eseguì una copia del manoscritto di Jacopo . Tale copia è ancora oggi conservata nella biblioteca di Norimberga (12) . Quando poi , nel 1470 , il Regiomontano curò una prima edizione a stampa delle traduzioni archimedee di Jacopo , l'umanista cremonese era già prematuramente scomparso , senza aver potuto rivedere e correggere il proprio lavoro . Nel 1474 , Regiomontano redasse un elenco delle opere scientifiche da lui stampare inserendovi anche quelle di Jacopo . Tale elenco fu noto , tra gli altri , anche a Copernico . La data di morte di Jacopo si può collocare tra il 1454 , anno immediatamente successivo alla conclusione delle traduzioni archimedee , e il 1456 dal momento che l'umanista Facio , scrivendo il tale anno , menziona la morte di Jacopo come prematura e da poco avvenuta . Risultano allora chiare le motivazioni culturali e scientifiche che indussero , nel 1544 , Thomas Gechauff , detto Venatorius , curatore della prima edizione a stampa delle opere in greco di Archimede e l'editore J. Herwagen ad aggiungere all'originale la versione latina di Jacopo da Cremona . Lo stesso Venatorius nella sua prefazione a questa edizione del Cinquecento precisa : " Non tam utilibus quam necessariis mortalium generi , veluti palam est legere in istis libris , quos Jacobus cremonensis in ea tempestate duolici honore dignuus , eum quod graecae doctus esset tum quod linguarum commercio adiutus , hanc opera solus viderentur absolvere posse in gratiam Nicolai V Rom. Pont. "(13) . L'edizione a stampa del Venatorius ebbe ampia diffusione in tutta l'europa .
Da questo momento in poi , gli studiosi del Cinquecento poterono leggere e approfondire le opere di Archimede , sia nell'originale greco che nell'elegante versione latina dell'umanista italiano Jacopo da Cremona . Per tutto il Cinquecento , infatti , l'opera di Archimede fu intesa come sintesi ideale delle scienze matematiche e , in particolare , la tradizione archimedea greco-latina , di cui Jacopo è rappresentante significativo , costituisce un tratto caratteristico delle ricerche matematiche del Cinquecento . In questo secolo la riedizione dei testi della scienza antica è uno degli impegni primari degli studiosi italiani. Tale attività non si limitava ad una semplice pratica erudita , ma postulava precise conoscenze filosofiche e scientifiche possedute dagli stessi traduttori .
E oggi compiutamente documentato che la traduzione , la correzione , il commento e l'ampliamento dei testi antichi , nel XVI secolo , aveva tre fondamentali funzioni culturali e didattiche : la revisione e l'aggiornamento del linguaggio scientifico , l'approfondimento di alcuni problemi aritmetici e geometrici già noti , l'introduzione di nuovi ambiti della ricerca matematica che costituiranno la premessa indispensabile per le successive scoperte scientifiche .

E' emblematico il fatto che nell'anno 1543 , un anno prima dell'edizione a stampa delle opere di Jacopo , vengono pubblicati sia il De revolutionibus orbium caelestium di Copernico sia la versione in lingua volgare italiana degli Elementa di Euclide ad opera di Nicolò Tartaglia ( 1506 - 1559 ). Lo stesso matematico bresciano traduce in latino alcuni scritti di Archimede pubblicandoli a Venezia nel 1565 . Per quanto riguarda la traduzione tartaleana dell'opera archimedea , è interessante osservare che egli ebbe tra i suoi protettori a Venezia , dal 1539 al 1546 , l'ambasciatore imperiale spagnolo presso la Repubblica veneta Diego Hurtado de Mendoza . Il Mendoza , bibliofilo e umanista , compare come interlocutore di Tartaglia nell'opera del bresciano Quesiti et inventioni diverse , quasi a sottolineare l'importanza del rapporto tra i due personaggi e gli interessi scientifici dello spagnolo.
Lo stesso Mendoza ebbe modo di consultare nella biblioteca Marciana di Venezia una copia manoscritta delle opere di Jacopo lasciatavi dal cardinale Bessarione nel XV secolo , e ne fece fare una trascrizione ancora oggi conservata a Madrid (14) . Benché taluni percorsi delle opere di Jacopo siano , per molti aspetti ancora inesplorati , il contributo delle sue traduzioni archimedee è riscontrabile anche nell'ambito delle università del Cinquecento . I nuovi testi che gli umanisti tradussero e commentarono entrarono a far parte così del circuito dell'insegnamento universitario e giocarono un ruolo non secondario nell'acceso dibattito che allora si svolse tra filosofi aristotelici e neoplatonici sulla natura della conoscenza matematica . Si discuteva allora sul grado di certezza della matematica sia come linguaggio che come strumento di conoscenza dell'universo fisico . Si scandagliavano le caratteristiche logiche della dimostrazione matematica , interrogandosi su questioni ontologiche relative ai fondamenti degli enti matematici . A questa disputa , sviluppatasi nella seconda metà del Cinquecento e denominata usualmente " de certitudine mathematicarum " (15) , prese parte anche il filosofo e matematico Giovanni Battista Benedetti ( 1530 - 1590 ) . Egli , già allievo del Tartaglia , sulla scorta delle conoscenze archimedee apprese dal maestro , prospetta nella sua
opera Diversarum speculationum mathematicarum et physicarum liber , del 1585 , una interessante ipotesi di matematizzazione della scienza . In particolare egli propone di sostituire alle opposizioni qualitative di Aristotele la scala quantitativa di Archimede (16) . Ma occorrerà attendere l'esperienza didattica
di Cristoforo Clavio perché i testi di Archimede vengono inseriti in un curriculum di studi , quello del Collegio gesuitico . Tale istituzione utilizzò largamente l'esperienza del precedente contubernium umanistico riprendendo per taluni aspetti le caratteristiche educative salienti delle scuole dell'Umanesimo . Il Clavio , docente di scienze matematiche nel Collegio romano , fece tesoro della propria esperienza di insegnamento per collaborare alla stesura dei programmi di studio dei collegi gesuitici . Lo stesso Clavio , dovendo
elaborare un programma di massima per l'insegnamento della matematica nei collegi retti dal suo ordine , compose un Ordo servandus in addiscendis disciplinis mathematicis (17) . Nel suo programma , oltre ai trattati euclidei e a interessanti riferimenti all'uso degli strumenti scientifici in campo astronomico , compare il chiaro riferimento ai testi di Archimede da Clavio citati con l'incipit latino dell'edizione a stampa : " Opera archimedis nonnulla " (18) .
Così le opere di Jacopo assunsero definitivamente la veste di testo scolastico , utilizzabile da docenti e discenti , funzione che il successore di Vittorino da Feltre aveva originariamente tenuto ben presente nel comporre le proprie traduzioni archimedee .
Maria Paola Negri
Università Cattolica - Brescia
" NUOVA SECONDARIA " , n. 5 ,pp. 76-79 , del 15 gennaio 1997
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1. AA.VV , Archimede,mito , tradizione e scienza , Atti del Convegno Internazionale , Firenze 1992 , pp. 165-197 .
2. C. Vasoli , Vittorino e la formazione umanistica , in N. Giannetto ( a cura di ) , Vittorino da Feltre e la sua scuola, Firenze 1981 , p. 18 .
3. H. Freudenthal , Ripensando l'educazione matematica , a cura di C.F. Manara , La Scuola , Brescia 1994 , pp. 5-16 ; C.F. Manara , M. Marchi , L'insegnamento della matematica , La Scuola , Brescia 1993 , pp. 139-158 .
4. Cfr. al riguardo Jacobus cremonensis , in M. Clagett , Archimedes in the Middle Ages , University of Wisconsin , Madison 1964 , pp. 321-342 non trad. in ital. ; e anche Jacopo da Cremona in P. Pizzamiglio , Le traduzioni matematiche gerardiane e la tradizione matematica cremonese , in P. Pizzamiglio ( a cura di ) , Gerardo da Cremona , " Annali della Biblioteca statale e Libreria civica di Cremona " , XLI 1990 , Cremona 1992 , pp. 108-110 .
5. G. Beaujouan , L'enseignement de l'arithmetique elementaire à L'Université de Paris aux XIII et XIV siecles , ( Barcelona 1954 , p. 124 ). Cfr M.P. Negri , Gerardo da Cremona e il rinnovamento dei modelli educativi del XII secolo , in P. Pizzamiglio ( a cura di ) , Gerardo da Cremona , Cremona 1991 , pp. 21-43; M.P. Negri , " Gerardo da Cremona : insegnamento e ricerca nelle scienze matematiche del XII secolo " , in Nuova Secondaria , n.10 , Brescia 1994 , pp. 74-77. E. Gamba, V. Montebelli , La matematica abachistica tra ricupero della tradizione e rinnovamento scientifico , in Atti del Convegno Internazionale
di studio " G.B. Benedetti e il suo tempo " , Venezia 1987 , pp. 169-202 .
6. F. Castilionensis , Vita Victorini feltrensis , traduzione italiana di E. Garin , in Il pensiero pedagogico dell'Umanesimo , Firenze 1958 , p. 504 .
7. Ibidem , p. 505 .
8. Il codice A tradotto da Jacopo è un manoscritto bizantino del IX secolo composto per ordine dell'imperatorre Leone di Tessalonica detto Iatrosofista . Contiene tutte le opere di Archimede ad eccezione di : I galleggianti , Sul metodo , Stomakion , Il problema bovino . J. L. Heiberg , Archimedis opera omnia , Leipsiae 1913. Le traduzioni archimedee a tutt'oggi attribuite a Jacopo sono precisamente : De sphaere et cylindro libri II ; Circuli dimensio ; De conoidalibus et spheroidibus figuris ; De lineis spiralibus ; De aequiponderantibus o planorum equaeponderantium inventa vel centra gravitatis planorum libri II ; De arenae numero ; De quadratura parabolae ; di Eutocio : Commentarius in primum et secundum Archimedis de sphaera et cylindro, Commentarius in circuki dimensio , Commentarius in primum et secundum aequiponderantium .
9. MS London , BM Harl : 4196. 2v. L'esistenza del manoscritto fu segnalata da P.O. Kristeller a M. Clagett , Cfr. M. Clagett , Archimedes .., cit. , p. 325 .
10. M. Clagett , Archimedes ... , cit. , pp. 338-339 .
11. P.O. Kristeller , The Humanist Bartolomeo Facio , in From the Renaissance to the Counter Reformation , New York 1965 , pp. 56-74 .
12. Nuremberg-Stadtbibl. Cent. V.15. A. C. Klebs , Incunabola scientifica et medica , in "
Osiris " , IV 1937 .
13. Archimedes , Opera quae quidem extant omnia , a cura di Th. Gechauff Venatorius , Basilea 1544 , pp. 4-5 . E' opportuno rammentare , in questi momenti aurorali dell'editoria europea , la fattiva collaborazione e la specifica competenza del curatore e dell'editore delle prime opere scientifiche a stampa . Cfr. anche F. Arisi, Cremona literata , II , Parma 1706 , p. 185 .

14. Madrid Biblioteca dell'Escorial f. III. 9.
15. A. De Pace , Le matematiche e il mondo : ricerche su un dibattito in Italia nella seconda metà del Cinquecento , Milano 1993 . E. Gamba , V. Montebelli , Le scienze ad Urbino nel tardo Rinascimento , Urbino 1988 , pp. 60-69 .
16. G. Vailati , Le speculazioni di G.B. Benedetti sul moto dei gravi , Torino 1888 .
17. La " Ratio studiorum ", a cura dei Gesuiti di " La civiltà Cattolica " , Roma/Milano 1989 .
18. A.G: Garibaldi , " Il contributo dei Gesuiti alla didattica e alla critica dei principi della matematica " , in Il pensiero matematico nella ricerca storica italiana , Ancona 1992 , pp. 194-208 . Catalogo della Biblioteca di Scienze C. Viganò , Milano 1994 . 






sabato 2 marzo 2013

Le vie di Archimede tra Grecia, Italia e Francia


Les Belles Lettres pubblica un testo sulla tradizione
del matematico greco nella cultura umanistica italiana

Galileo leggeva ArchimedeQuasi sicuramente conosceva l’editio princpes in greco e latino delle opere del grande scienziato antico uscita a Basilea nel 1544. 


Il merito della circolazione di questo autore, e il rinnovamento che recava negli studi matematici in una lingua allora di uso comune tra i dotti, è di Iacopo da San Cassiano, vissuto nel XV secolo. Aveva professato i voti presso una comunità di canonici che seguivano la regola di Sant’Agostino. Nella seconda metà del Quattrocento, per suo merito, molti poterono accostarsi a un corpus prezioso di scritti. In quel mondo abitato da Piero della Francesca o da Leonardo da Vinci, dai dotti dei circoli umanistici di Milano, Bologna, Ferrara, Roma.

D’altra parte, Iacopo da San Cassiano lo si scopre tra Pavia, la corte dei Gonzaga e nei sacri palazzi di Roma. Ora un denso studio, intitolato appunto Archimede latino, che inaugura la collana «Sciences et Savoirs» coordinata da Francesco Furlan e pubblicata da Les Belles Lettres di Parigi (il volume ha 406 pagine, con numerose tavole, costa euro 75), ricostruisce l’avventura dell’Archimede latino, cominciando dalla figura di Iacopo, proseguendo con l’esame di autografi e testimoni, infine offrendo l’edizione critica di due testi, ovvero La misura del cerchio e La quadratura della parabola.
La cura si deve a Paolo d’Alessandro e Pier Daniele Napolitani. Si tratta di libro di cultura italiana stampato a Parigi, in una collana che prevede i Pensieri di Paolo Sarpi in tre tomi o il Portulario di Grazioso Benincasa, coordinata da Francesco Furlan che opera nella capitale francese, scritta in italiano. 
Ma il nostro umanesimo per sopravvivere deve andarsene in esilio?

articolo tratto dal Corriere della Sera del 27/11/2012 a firma di Armando Torno

LA GEOMETRIA ELLITTICA – modello di Riemann

Questa geometria si ottiene sostituendo al quinto postulato di Euclide il seguente : “Ogni retta  s  passante per il punto P incontra sempre...