sabato 28 agosto 2010

Lilavati (poesia che diventa matematica o matematica che diventa poesia?)

Un quinto di uno sciame di api si posò su di un fiore di cadamba, un terzo su di un fiore di silinda, tre volte la differenza di questi due numeri di api volò tra gli altri fiori del giardino e rimase solo un’ape, che si librò qua e là nell’aria, attirata dal grato profumo di un gelsomino. Dimmi tu, ora bella Lilavati, qual  era il numero delle api?   
[Poesia tratta da “Lilavati” di Bhaskara (1114-1185) ]






 "Lilavati" è una raccolta di problemi scritta da Bhãskara, dove la Matematica diventa poesia. Nell’opera si possono trovare mille anni di cultura matematica indiana, grazie ad una patetica vicenda che merita di essere raccontata. Nato nella casta dei Brahamini, Bhãskara fin da giovanissimo aveva saputo approfittare delle possibilità che il suo stato gli offriva. Si era dedicato anima e corpo allo studio, in particolare a quello della Aritmetica. Egli si sposò, ebbe una figlia, che la leggenda descrive di una bellezza straordinaria. Bhãskara era un padre indù molto premuroso, ed interrogò gli astrologi e seppe che secondo le previsione delle stelle la sua adorata figlia avrebbe vissuto a lungo ma non si sarebbe mai sposata. Gli anni passarono; Bhãskara teneva costantemente la figlia con sé educandola ai segreti dei numeri; ai misteri delle figure geometriche, ai culti religiosi e alla scienza delle stelle. Ma quando la figlia di Bhãskara giunse a diciotto anni, la primavera della natura ebbe il sopravvento sull'educazione. Lilavati una sera manifestò al padre che le sarebbe piaciuto avere un marito. Bhãskara per giorni e notti eseguì calcoli di ogni genere, finché non riuscì a trovare che ad una certa ora di un certo giorno gli dei avrebbero permesso le nozze della figlia. Allora chiamò la figlia e le fece la grande rivelazione, raccontandole anche delle precedenti previsioni negative. Ora non c'era che scegliere un marito. Un vecchio amico di Bhãskara aveva un figlio celibe: l'affare fu combinato e cominciarono i preparativi per le nozze. Il giorno fatidico la casa del matematico si riempì di invitati festanti, ed ebbe inizio la processione nuziale. Gli astrologi avevano posto in un tripode vicino a Lilavati una preziosa clessidra ad acqua. Quando l'ultima goccia di liquido fosse passata dal vaso superiore a quello inferiore, sarebbe stato il momento del "sì" concesso a Lilavati dalla nutrita schiera degli dei indù. Passarono molti minuti, interminabili per la ragazza, quando un astrologo si piegò a controllare quanto liquido restava ancora da gocciolare e scoprì con rammarico che la clessidra si era fermata: l'acqua non passava più dal vaso superiore a quello inferiore. Era successo che una perla della collana di Lilavati, staccandosi, era andata a cadere inopinatamente nel vaso, ostruendo il passaggio dell’acqua. Il tempo concesso dagli dei per il matrimonio era trascorso senza che nessuno se ne fosse accorto o avesse potuto valutarlo. Lilavati dovette rinunciare al suo uomo e restò zitella. Fu allora che Bhãskara, per consolare la figlia, le promise di renderla immortale intitolando a lei il suo trattato di aritmetica che chiamò appunto Lilavati, la bellissima.

giovedì 26 agosto 2010

L'uomo vitruviano, alla luce dell'incontro fra Luca Pacioli e Leonardo da Vinci

L’uomo armonico e la geometria della natura
«nessuna umana investigazione si po’ dimandare vera scienza
s’essa non passa per le matematiche dimostrazioni»
(libro di pittura)




Definendosi «interprete tra la natura e gli omini», Leonardo tiene sempre fisso un punto di convergenza: l’uomo e la sua raffigurazione; infatti «necessità costringe la mente del pittore a tramutarsi nella mente della natura e a farsi interprete tra essa natura e l’arte» (Libro di pittura, f. 24v). L’artista, con l’occhio di pittore e di scienziato, è quindi il tramite con l’universo naturale. In lui l’idea dell’armonia è onnipresente, insieme a quella di perfezione. La sua arte cerca continuamente di realizzare i canoni di bellezza ideale del Rinascimento: risalendo agli antichi e servendosi dei metodi della scienza, che è la scienza del pittore, come scrive Eugenio Garin, capire quella scienza e quell’arte, che non sono né la scienza di Galileo né l’arte delle estetiche del Novecento, intendere tutto questo, è capire il significato e la grandezza di Leonardo. Farne il precursore di teorie o tecniche scoperte qualche secolo dopo preclude ogni intelligenza di quei testi singolari in cui, quasi combattendo contro se stesso, Leonardo inseguì per tutta la vita la risoluzione in numeri delle sue straordinarie immagini1.
È lo stesso artista a riportare il valore teoretico della pittura a valori matematici (Libro di pittura, c. 5.6 e c. 19)2 e ai valori matematici la stessa metodicità dell’opera d’arte, «armonica proporzionalità la quale è composta di divine proporzioni». Quella «proportione havente el mezzo e doi extremi», di cui già Vitruvio aveva tessuto le lodi e che Euclide indicava come «media ragione» o «estrema ragione», che veniva definita «divina»3 da Luca Pacioli nella Summa del 1494. L’anno dopo, con quel testo, il frate è raffigurato mentre copia un diagramma dagli Elementi di Euclide e tiene lezione a un allievo nel celebre Doppio ritratto, ora a Capodimonte; sopra il volume della sua Summa è appoggiato un dodecaedro pla tonico, mentre il solido trasparente appeso, con ventisei facce, pieno d’acqua per metà, simboleggia la cristallina eternità della matematica. L’autore del dipinto, Jacopo de’ Barbari, a sua volta, nella famosa lettera del 1501 De la ecelentia de pitura, afferma il principio che l’arte dev’essere intesa come «recta ratio faciendorum operum», frutto di un grande impegno teorico e senza il quale «nol pol esser Pittura, se non sarà periti nelle sopradette arte, prima nella Geometria, poi Aritmetica le qual due necessita nella commisurazione della proportione che ‘l non po’ essere proportione senza numero, né pol essere forma senza geometria»4. Di quella «Aritmetica dj maestro Luca», Leonardo ordina subito una copia in volgare, pagandola 119 soldi (Codice Atlantico, f. 288r, 1493-1495 circa) e la registra al n. 93 della lista del Codice di Madrid ii, 3r del 1503 circa5; studi e appunti tratti da quel tomo si ritrovano nel coevo Codice Arundel, nel Codice di Madrid ii, dove ricopia l’arbor proportionis et proportionalitatis («l’albero della proporzione e proporzionalità», 78r) e fa un riassunto della sesta distinzione (da f. 46v a f. 50r) nel Codice Foster ii (dal f. 14r a 22r, 1495-1497), con note sulla teoria delle proporzioni sempre riconducibili alla Summa, e infine nel Ms. K (1503-1505), costellato di numerosi riferimenti alle proposizioni degli Elementi di Euclide, dove aggiunge che «la proporzione non solamente nelli numeri e misure fia ritro vata, ma etiam nelli suoni, pesi, et tempi e siti e qualunque potenzia si sia» (f. 49r).
Il matematico e l’artista si incontrano poi di persona nel 1496 alla corte degli Sforza, dove Fra’ Luca insegna matematica anche a Leonardo che dice, rivolto a se stesso: «Impara la moltiplicazione della radice da maestro Luca» (Codice Atlantico, 331r, già 120r)6. Nel Codice Foster ii, infatti, scritto proprio tra 1495 e il 1497 a cavallo dell’incontro con Pacioli, affronta nuovi problemi, non contemplati nei precedenti Codici A e B, né nelle note di geometria dei manoscritti datati a partire dal 1490, cioè i due Codici di Madrid (1490-1505) e i dodici codici dell’Istituto di Francia (1492-1516)7. Il superbo risultato del comune lavoro dei due amici sono le sessanta illustrazioni dei solidi geometrici8, a corredo del De divina proportione del 1498: il matematico spiega come si costruiscono i poliedri, aiutandosi con le leonardiane «forme materiali dei corpi […] a li viventi fin hora ascoste, […] facte et formate per quella ineffabile senistra mano»9. L’artista quindi, con le sue «supreme e leggiadrissime figure» dà realtà visibi le alle regole delle dimostrazioni teoriche, manifestazione della sua straordinaria capacità, a partire da indicazioni puramente astratte come un numero e una forma geometrica, di visualizzare graficamente l’ipotesi di una forma visibile10. In precedenza solo il Trattato dell’abaco di Piero della Francesca, del 1470 circa, era stato illustrato da 131 figure geometriche di miniatore di scuola ferrarese; lo stesso Pie ro, definito da Vasari «maestro raro delle difficoltà dei corpi regolari, e nell’aritmetica e geometria», approfondisce il tema dei poliedri nel De quinque corporibus regularibus, celebre trattato acquistato da Leonardo. Fra’ Luca, nella dedica a Guidobaldo da Montefeltro (lui stesso «Mathematice discipline cultorem serventissimum»), nell’illustrare l’utilità della geometria e delle proporzioni nell’architettura, non può non citarne la fonte in «Vitruvio in suo volume e Leon Battista degli Alberti Fiorentino in sua perfetta opra de architectura […] proportionando suoi magni et excelsi hedifitii»: affiancare Vitruvio all’Alberti vuole sottolineare sia il Rinascimento in architettura nel xv secolo, che il carattere matema tico di questa disciplina, tale da porla di diritto tra le scienze «in primo gradu certitudinis».
Vitruvio aveva nel De architectura codificato i canoni di bellezza classici, ricorrendo alla scienza delle proporzioni. Leon Battista Alberti, che il frate aveva conosciuto a Roma nel 1471, rinnova il progetto vitruviano elaborando i principi dell’architettura matematica rinascimentale. Nel De re aedificatoria, stampato nel 1485, l’architetto fiorentino dedica il primo libro soprattutto alla fun zione del disegno, considerato come l’anello di congiunzione tra la matematica e l’architettura. Proprio quel trattato e l’Ex ludis rerum matematicarum, albertiani, sono gli unici due testi degli umanisti contemporanei che Leonardo possiede e il De re aedificatoria è peraltro l’unico che cita nelle sue note, forse anche perché, al di là della fondamentale importanza della figura di Leon Battista nella formazione umanistica leonardiana, viene menzionato da Fra’ Luca. Va sottolineato come l’influenza del matematico sia profonda anche nella formazione artistica di Albrecht Dürer11, tanto che è proprio lui a realizzare, con il suo lavoro teorico più importante del 1525, il primo testo in lingua tedesca di matematica, «la più precisa, logica e graficamente costruttiva delle scienze […] senza la quale nessuno può essere o diventare un artista completo». Ed è proprio nel pittore tedesco che si riconosce l’approccio «scientifico» alla natura più vicino a quello di Leonardo.
Se pur meno determinante del rapporto con Luca Pacioli12, era stato comunque importante il pre cedente incontro di Leonardo a Pavia nel 1490 con Francesco di Giorgio Martini che, nel Trattato di architettura civile e militare, aveva delineato i moduli di edifici ed elementi architettonici in base alle proporzioni del corpo umano, non tanto per la geometria, bensì per i rapporti di proporzioni con l’architettura e l’anatomia13. Inoltre, fatti forse ancor più decisivi, sia la frequentazione della ricca biblioteca del Castello Visconteo che la conoscenza del matematico Fazio Cardano gli insegnano l’importanza sì delle proporzioni14, ma soprattutto della scienza empirica. Scrive, infatti: «Quelli che s’innamoran di pratica sanza scienza, son come ‘l nocchieri ch’entra in navilio senza timone o bussola». Lui, artista, diventa il «nocchiero» che con i metodi della scienza, rinnova la concezione di origine classica sviluppandola in modo dinamico, e incarna l’ideale di un sapere che, facendo della matematica la guida di ogni esperienza, concilia la ricerca artistica di bellezza e armonia e nello stesso tempo dà nuova dignità alle attività artistiche legandole allo sviluppo delle scienze.
Nel rapporto fra Leonardo e Pacioli affiora tuttavia un interrogativo. Perché per Pacioli Leonardo non è «fonte», come si interroga giustamente Carpiceci15? Perché il frate nel suo De divina proportione dà un’interpretazione errata e univoca del testo vitruviano? Perché la sintesi mirabile del disegno le onardiano non impedisce a Luca di essere così poco chiaro circa i rapporti, lì interpretati in maniera sublime, tra cerchio-quadrato e corpo umano? Sembra che non ne abbia tenuto conto. A meno che Leonardo lo abbia addirittura realizzato dopo e, in quel caso, Pacioli non poteva conoscere l’opera dell’amico, di cui tesse tra l’altro una lode sperticata nella dedica dello stesso trattato, encomio tanto più clamoroso, dato che nella Summa di soli quattro anni prima, in un lungo elenco di pittori, Leonardo da Vinci non compariva neppure! È inconfutabile, viceversa, l’importanza fondamentale degli insegnamenti di fra’ Luca nella cultura matematica dell’artista e il conseguente approccio più scientifico che esplica un atteggiamento mentale da scienziato, così profondamente mutato da insi nuare il dubbio che soltanto dopo il loro incontro Leonardo sia stato effettivamente consapevole di come affrontare la visualizzazione grafica dei temi umanistici di proporzioni perfette, applicando la sezione aurea per costruire graficamente le figure geometriche in relazione, frutto di un sostanzioso ragionamento geometrico sotteso nella raffigurazione16. Nel qual caso, l’esecuzione del disegno an drebbe, anche se di poco, posticipata rispetto al 1490 comunemente indicato17. Il ricorso ai principi teorici della sezione aurea, dimostrato per la prima volta da Rocco Sinisgalli nel 200318, si riconosce anche in un altro famoso foglio leonardiano, in cui la testa è suddivisa in cinque parti, cosicché il profilo può iscriversi in un quadrato, tenendo appunto in considerazione il rapporto aureo19.
Nel Novecento il procedimento è stato nuovamente applicato all’architettura dal celebre pittore e ar chitetto franco-svizzero Le Corbusier (1887-1965): il suo Modulor, da «module d’or» applica la sezione aurea per determinare due serie di dimensioni armoniche a misura d’uomo, da utilizzare nella pro gettazione di edifici, spazi urbani, mobili e oggetti. L’artista presumeva infatti che il Modulor fornisse «alla scala umana una misura di armonia, universalmente applicabile all’architettura e alla meccani ca»: un uomo alto circa 183 cm, con un braccio alzato, fino a un’altezza di 226 cm, è inserito in un quadrato. Il rapporto tra la statura dell’uomo (183 cm) e la distanza dall’ombelico al suolo (113 cm) è pari a 20. Le Corbusier si è quindi ispirato a quell’armonia umanista, che proprio con i mezzi della geometria ha consentito a Leonardo, e solo a lui, di dare compimento grafico all’idea geniale di raffi gurare contemporaneamente l’homo ad quadratum e l’homo ad circulum, mettendo in relazione le due potenzialità geometriche in modo simultaneo e pertanto armonico. Ma ognuna con un centro, quasi a volerne sottolineare la pari importanza, senza priorità di sorta. Due centri, quindi. E due posizioni, sede dell’origine fisica (i genitali) e spirituale (l’ombelico); i quali a loro volta, nella doppia postura del corpo, generano il rapporto tra loro e simultaneamente tra le due forme geometriche perfette, che sembrano derivare le une dalle altre secondo un gioco di mutazione ed equivalenza. Una relazione che, in realtà, va ricostruita continuamente, se pur esplicitazione di una sintesi, rimasta insuperata, che sa realizzare, scrive Garin, «una convergenza mai più raggiunta di scavo scientifico e di raffigurazione pittorica. Anche questa pagina è un magico disegno fatto per illustrare le speculazioni scientifiche che occupavano la sua mente in quel momento».


Annalisa Perissa Torrini

lunedì 23 agosto 2010

Da uno a infinito. Al cuore della matematica

Segnalo che al Meeting di Comunione e Liberazione in corso a Rimini, è prevista un'area dedicata alla scienza e in particolare alla matematica.
C'è una bella mostra curata dall'associazione Euresis, in cui si presenta la matematica come un organismo vivente, rappresentato da un grande albero posto al centro della mostra.
Non ho avuto modo di vedere la mostra, ma da quanto si legge (soprattutto sul web, perchè i giornali come al solito danno spazio più alle ciance della cronaca politica che alla sostanza delle cose) condvido il progetto dei curatori.


La matematica come attività che attraverso un metodo logico affronta problemi, crea modelli, offre soluzioni grazie al lavoro umano di tanti uomini e tante donne che dedicano il loro talento a questa attività. Quindi la matematica anche e soprattutto nel suo processo storico, nell'evoluzione di conoscenze che ne caratterizza il percorso.
Secondo me e non da adesso, questo modo di presentare la materia dovrebbe entrare anche nella didattica ordinaria.
Oggi, purtroppo, non è così.

martedì 10 agosto 2010

La Statistica al vertice della Matematica?

Per quello che so io è vero che oggi, anche in Italia, il percorso formativo matematica converge all'Analisi matematica, quale obiettivo privilegiato. In realtà questa è una tendenza fortemente rafforzata negli utlimi anni, per motivi che solo in parte penso d'aver capito.
Quello che non mi convince nel discorso di Arthur Benjamin è che kla statistica possa essere messa come vertice del percorso formativo matematico contemporaneo... La Statistica è importante  e il calcolo delle probabilità ancor di più, ma non vedo né l'una né l'altro un buon obiettivo per il percorso formativo in matematica, valido per tutti: tecnici, letterati, scientifici e professionali.

Fra l'altro non capisco come possa essere la Statistica la "matematica dell'era digitale" (io sono appassionato, ma poco approfondito, sostenitore dell'Analisi Non Standard, che in Italia non riesce a prendere piede...).
Se qualcuno vuole aiutarmi a capire, è il benvenuto!


lunedì 9 agosto 2010

Si potrebbe passare tutta la vita a studiare le bolle di sapone



Vi è qualcosa di più fragile e aleatorio delle bolle di sapone? A prima vista sembrerebbe di no. In realtà non è affatto così, come ci insegnano le ricerche su questo fenomeno che si sono susseguite per secoli. Il famoso fisico inglese Lord Kelvin arrivò a scrivere che si potrebbe passare tutta la vita a studiare le bolle di sapone; Isaac Newton nell’Opticks (1704), descrisse in dettaglio i fenomeni che si osservano sulla superficie delle lamine saponate; nel 1873 il fisico belga Joseph Plateau scopre che “Comunque elevato sia il numero di lamine di sapone che vengono a contatto tra loro, non vi possono essere altro che due tipi di configurazioni”. Una scoperta che sarà confermata solo nel 1976 dalla matematica nordamericana Jean Taylor.


Studiando le proprietà delle superfici minime, il nome “matematico” delle lamine di sapone, e di altre superfici che hanno la proprietà di minimizzare l’area, il matematico italiano Enrico Bombieri vincerà nel 1974 la medaglia Fields, l’ambito riconoscimento alla eccellenza della ricerca in matematica, disciplina per la quale non esiste il Nobel. Famoso l’articolo che Ennio De Giorgi, Enrico Bombieri e Enrico Giusti pubblicarono sullo studio delle singolarità (spigolosità) delle superfici minime in qualsiasi dimensione.


Non stupisce quindi che gli esperimenti si susseguano anche oggi. L'ultimo in ordine di tempo a conquistare le pagine di Nature è stato quello condotto da un gruppo di ricercatori delle università di Harvard e di Princeton negli Stati Uniti e del CNRS/Institut de Physique de Rennes in Francia. Il problema che i fisici si sono posti è: come scoppiano le bolle di sapone e altri tipi di bolle? Non svaniscono semplicemente, ma si dividono in anelli di bolle molto più piccole. In particolare James C. Bird e il suo collega francese Laurent Courbin hanno osservato il formarsi di “anelli” come risultato dell'esplosione delle bolle. Si sono poi accorti che il fenomeno si presenta molto spesso e praticamente ovunque: in una pozzanghera d’acqua dopo un giorno piovoso, nel lavandino quando si lavano i piatti, sulla schiuma sulla superficie dell’oceano. Inoltre i ricercatori hanno osservato che quando le bolle sono in contatto con interfaccia liquido/gas o solido/gas, il fenomeno aumenta generando una grande quantità di bolle di dimensioni più piccole.
Il fenomeno non è visibile a occhio nudo (come anche il solo osservare due bolle che si toccano e si attaccano insieme), così i ricercatori lo hanno filmato con una camera ad alta velocità. Per rendere visibile l’attaccarsi insieme di due bolle serve una camera a 1000 fotogrammi al secondo, mentre una normale camera filma a 24 fotogrammi al secondo. I ricercatori ritengono che i loro risultati saranno utili in molti campi, per esempio nella produzione del vetro dove non si vuole la presenza di bolle all’interno della struttura, e nel campo degli aerosol.


Se si pensa che la piscina olimpica per le olimpiadi di Pechino è stata costruita utilizzando modelli di lamine di sapone, non si può che concordare con quanto diceva Lord Kelvin più di cento anni fa sullo studio, da tantissimi punti di vista, delle bolle di sapone.
Riferimento: doi:10.1038/nature09069


O anche: http://www.planet-techno-science.com/en/index.php/2010/06/14/how-do-bubbles-burst/

domenica 1 agosto 2010

Lo “smemorato” di Francavilla è un genio della matematica


In via Di Castri, cuore del centro abitato di Francavilla Fontana, si sa, il mare non c’è. Nemmeno fiumi o laghi: al limite qualche pozzanghera di pochi centimetri ristagna nei giorni di pioggia intensa. Eppure proprio lì, non molti mesi fa, alcuni vigili urbani trovarono comodamente assiso su una panchina dell’isola spartitraffico, un uomo intento a pescare: con tanto di canna. Pensarono avesse qualche rotella fuori posto. E in effetti era così: lo stravagante forestiero, distinto nei modi e poliglotta come pochi – riusciva a parlare quattro lingue –, non sapeva dove fosse, cosa stesse facendo e da dove venisse. Eppure quell’uomo, si è scoperto solo due giorni fa, era ed è un fenomenale genio: magari con qualche difettuccio agli ingranaggi che rapidi gli girano in testa, ma pur sempre un genio. Si tratta del matematico francese Michel Doumesche, 67anni, luminare di calibro europeo in fatto di numeri, calcoli ed equazioni. La sua identità è saltata fuori solo nelle ultime 48 ore: alcuni famigliari lo hanno riconosciuto grazie al lavoro di concerto fra le Questure di Roma e Pescara, presso cui l’anziano francese era da alcuni mesi ricoverato in una casa di cura, dopo il suo ritrovamento a Francavilla Fontana.


Fratelli e figli avevano perso di lui ogni traccia nel 2007. Sparì, senza preavviso, da un giorno all’altro, allontanandosi dall’abitazione di famiglia.
Temettero il peggio, pensando a un rapimento o un qualche incidente: ma non si sono mai dati per vini, insistendo con le ricerche, forse consci di quel problema che, temevano, prima o poi avrebbe finito col cacciarlo nei guai. Da quel giorno di anni ne sono trascorsi tre. Un buco nella vita del matematico francese che lo ha probabilmente portato a girovagare per mezza Europa, e soprattutto per l’Italia. In più occasioni di lui si occuparono le forze dell’ordine, che lo trovarono a vagabondare spaesato per le vie di qualche cittadina dello Stivale. Ma è soprattutto in Puglia che che Michel Doumesche viene “avvistato” più volte. Prima a Foggia, poi a Sava (provincia di Taranto), e infine a Francavilla Fontana. 

LA GEOMETRIA ELLITTICA – modello di Riemann

Questa geometria si ottiene sostituendo al quinto postulato di Euclide il seguente : “Ogni retta  s  passante per il punto P incontra sempre...