giovedì 26 agosto 2010

L'uomo vitruviano, alla luce dell'incontro fra Luca Pacioli e Leonardo da Vinci

L’uomo armonico e la geometria della natura
«nessuna umana investigazione si po’ dimandare vera scienza
s’essa non passa per le matematiche dimostrazioni»
(libro di pittura)




Definendosi «interprete tra la natura e gli omini», Leonardo tiene sempre fisso un punto di convergenza: l’uomo e la sua raffigurazione; infatti «necessità costringe la mente del pittore a tramutarsi nella mente della natura e a farsi interprete tra essa natura e l’arte» (Libro di pittura, f. 24v). L’artista, con l’occhio di pittore e di scienziato, è quindi il tramite con l’universo naturale. In lui l’idea dell’armonia è onnipresente, insieme a quella di perfezione. La sua arte cerca continuamente di realizzare i canoni di bellezza ideale del Rinascimento: risalendo agli antichi e servendosi dei metodi della scienza, che è la scienza del pittore, come scrive Eugenio Garin, capire quella scienza e quell’arte, che non sono né la scienza di Galileo né l’arte delle estetiche del Novecento, intendere tutto questo, è capire il significato e la grandezza di Leonardo. Farne il precursore di teorie o tecniche scoperte qualche secolo dopo preclude ogni intelligenza di quei testi singolari in cui, quasi combattendo contro se stesso, Leonardo inseguì per tutta la vita la risoluzione in numeri delle sue straordinarie immagini1.
È lo stesso artista a riportare il valore teoretico della pittura a valori matematici (Libro di pittura, c. 5.6 e c. 19)2 e ai valori matematici la stessa metodicità dell’opera d’arte, «armonica proporzionalità la quale è composta di divine proporzioni». Quella «proportione havente el mezzo e doi extremi», di cui già Vitruvio aveva tessuto le lodi e che Euclide indicava come «media ragione» o «estrema ragione», che veniva definita «divina»3 da Luca Pacioli nella Summa del 1494. L’anno dopo, con quel testo, il frate è raffigurato mentre copia un diagramma dagli Elementi di Euclide e tiene lezione a un allievo nel celebre Doppio ritratto, ora a Capodimonte; sopra il volume della sua Summa è appoggiato un dodecaedro pla tonico, mentre il solido trasparente appeso, con ventisei facce, pieno d’acqua per metà, simboleggia la cristallina eternità della matematica. L’autore del dipinto, Jacopo de’ Barbari, a sua volta, nella famosa lettera del 1501 De la ecelentia de pitura, afferma il principio che l’arte dev’essere intesa come «recta ratio faciendorum operum», frutto di un grande impegno teorico e senza il quale «nol pol esser Pittura, se non sarà periti nelle sopradette arte, prima nella Geometria, poi Aritmetica le qual due necessita nella commisurazione della proportione che ‘l non po’ essere proportione senza numero, né pol essere forma senza geometria»4. Di quella «Aritmetica dj maestro Luca», Leonardo ordina subito una copia in volgare, pagandola 119 soldi (Codice Atlantico, f. 288r, 1493-1495 circa) e la registra al n. 93 della lista del Codice di Madrid ii, 3r del 1503 circa5; studi e appunti tratti da quel tomo si ritrovano nel coevo Codice Arundel, nel Codice di Madrid ii, dove ricopia l’arbor proportionis et proportionalitatis («l’albero della proporzione e proporzionalità», 78r) e fa un riassunto della sesta distinzione (da f. 46v a f. 50r) nel Codice Foster ii (dal f. 14r a 22r, 1495-1497), con note sulla teoria delle proporzioni sempre riconducibili alla Summa, e infine nel Ms. K (1503-1505), costellato di numerosi riferimenti alle proposizioni degli Elementi di Euclide, dove aggiunge che «la proporzione non solamente nelli numeri e misure fia ritro vata, ma etiam nelli suoni, pesi, et tempi e siti e qualunque potenzia si sia» (f. 49r).
Il matematico e l’artista si incontrano poi di persona nel 1496 alla corte degli Sforza, dove Fra’ Luca insegna matematica anche a Leonardo che dice, rivolto a se stesso: «Impara la moltiplicazione della radice da maestro Luca» (Codice Atlantico, 331r, già 120r)6. Nel Codice Foster ii, infatti, scritto proprio tra 1495 e il 1497 a cavallo dell’incontro con Pacioli, affronta nuovi problemi, non contemplati nei precedenti Codici A e B, né nelle note di geometria dei manoscritti datati a partire dal 1490, cioè i due Codici di Madrid (1490-1505) e i dodici codici dell’Istituto di Francia (1492-1516)7. Il superbo risultato del comune lavoro dei due amici sono le sessanta illustrazioni dei solidi geometrici8, a corredo del De divina proportione del 1498: il matematico spiega come si costruiscono i poliedri, aiutandosi con le leonardiane «forme materiali dei corpi […] a li viventi fin hora ascoste, […] facte et formate per quella ineffabile senistra mano»9. L’artista quindi, con le sue «supreme e leggiadrissime figure» dà realtà visibi le alle regole delle dimostrazioni teoriche, manifestazione della sua straordinaria capacità, a partire da indicazioni puramente astratte come un numero e una forma geometrica, di visualizzare graficamente l’ipotesi di una forma visibile10. In precedenza solo il Trattato dell’abaco di Piero della Francesca, del 1470 circa, era stato illustrato da 131 figure geometriche di miniatore di scuola ferrarese; lo stesso Pie ro, definito da Vasari «maestro raro delle difficoltà dei corpi regolari, e nell’aritmetica e geometria», approfondisce il tema dei poliedri nel De quinque corporibus regularibus, celebre trattato acquistato da Leonardo. Fra’ Luca, nella dedica a Guidobaldo da Montefeltro (lui stesso «Mathematice discipline cultorem serventissimum»), nell’illustrare l’utilità della geometria e delle proporzioni nell’architettura, non può non citarne la fonte in «Vitruvio in suo volume e Leon Battista degli Alberti Fiorentino in sua perfetta opra de architectura […] proportionando suoi magni et excelsi hedifitii»: affiancare Vitruvio all’Alberti vuole sottolineare sia il Rinascimento in architettura nel xv secolo, che il carattere matema tico di questa disciplina, tale da porla di diritto tra le scienze «in primo gradu certitudinis».
Vitruvio aveva nel De architectura codificato i canoni di bellezza classici, ricorrendo alla scienza delle proporzioni. Leon Battista Alberti, che il frate aveva conosciuto a Roma nel 1471, rinnova il progetto vitruviano elaborando i principi dell’architettura matematica rinascimentale. Nel De re aedificatoria, stampato nel 1485, l’architetto fiorentino dedica il primo libro soprattutto alla fun zione del disegno, considerato come l’anello di congiunzione tra la matematica e l’architettura. Proprio quel trattato e l’Ex ludis rerum matematicarum, albertiani, sono gli unici due testi degli umanisti contemporanei che Leonardo possiede e il De re aedificatoria è peraltro l’unico che cita nelle sue note, forse anche perché, al di là della fondamentale importanza della figura di Leon Battista nella formazione umanistica leonardiana, viene menzionato da Fra’ Luca. Va sottolineato come l’influenza del matematico sia profonda anche nella formazione artistica di Albrecht Dürer11, tanto che è proprio lui a realizzare, con il suo lavoro teorico più importante del 1525, il primo testo in lingua tedesca di matematica, «la più precisa, logica e graficamente costruttiva delle scienze […] senza la quale nessuno può essere o diventare un artista completo». Ed è proprio nel pittore tedesco che si riconosce l’approccio «scientifico» alla natura più vicino a quello di Leonardo.
Se pur meno determinante del rapporto con Luca Pacioli12, era stato comunque importante il pre cedente incontro di Leonardo a Pavia nel 1490 con Francesco di Giorgio Martini che, nel Trattato di architettura civile e militare, aveva delineato i moduli di edifici ed elementi architettonici in base alle proporzioni del corpo umano, non tanto per la geometria, bensì per i rapporti di proporzioni con l’architettura e l’anatomia13. Inoltre, fatti forse ancor più decisivi, sia la frequentazione della ricca biblioteca del Castello Visconteo che la conoscenza del matematico Fazio Cardano gli insegnano l’importanza sì delle proporzioni14, ma soprattutto della scienza empirica. Scrive, infatti: «Quelli che s’innamoran di pratica sanza scienza, son come ‘l nocchieri ch’entra in navilio senza timone o bussola». Lui, artista, diventa il «nocchiero» che con i metodi della scienza, rinnova la concezione di origine classica sviluppandola in modo dinamico, e incarna l’ideale di un sapere che, facendo della matematica la guida di ogni esperienza, concilia la ricerca artistica di bellezza e armonia e nello stesso tempo dà nuova dignità alle attività artistiche legandole allo sviluppo delle scienze.
Nel rapporto fra Leonardo e Pacioli affiora tuttavia un interrogativo. Perché per Pacioli Leonardo non è «fonte», come si interroga giustamente Carpiceci15? Perché il frate nel suo De divina proportione dà un’interpretazione errata e univoca del testo vitruviano? Perché la sintesi mirabile del disegno le onardiano non impedisce a Luca di essere così poco chiaro circa i rapporti, lì interpretati in maniera sublime, tra cerchio-quadrato e corpo umano? Sembra che non ne abbia tenuto conto. A meno che Leonardo lo abbia addirittura realizzato dopo e, in quel caso, Pacioli non poteva conoscere l’opera dell’amico, di cui tesse tra l’altro una lode sperticata nella dedica dello stesso trattato, encomio tanto più clamoroso, dato che nella Summa di soli quattro anni prima, in un lungo elenco di pittori, Leonardo da Vinci non compariva neppure! È inconfutabile, viceversa, l’importanza fondamentale degli insegnamenti di fra’ Luca nella cultura matematica dell’artista e il conseguente approccio più scientifico che esplica un atteggiamento mentale da scienziato, così profondamente mutato da insi nuare il dubbio che soltanto dopo il loro incontro Leonardo sia stato effettivamente consapevole di come affrontare la visualizzazione grafica dei temi umanistici di proporzioni perfette, applicando la sezione aurea per costruire graficamente le figure geometriche in relazione, frutto di un sostanzioso ragionamento geometrico sotteso nella raffigurazione16. Nel qual caso, l’esecuzione del disegno an drebbe, anche se di poco, posticipata rispetto al 1490 comunemente indicato17. Il ricorso ai principi teorici della sezione aurea, dimostrato per la prima volta da Rocco Sinisgalli nel 200318, si riconosce anche in un altro famoso foglio leonardiano, in cui la testa è suddivisa in cinque parti, cosicché il profilo può iscriversi in un quadrato, tenendo appunto in considerazione il rapporto aureo19.
Nel Novecento il procedimento è stato nuovamente applicato all’architettura dal celebre pittore e ar chitetto franco-svizzero Le Corbusier (1887-1965): il suo Modulor, da «module d’or» applica la sezione aurea per determinare due serie di dimensioni armoniche a misura d’uomo, da utilizzare nella pro gettazione di edifici, spazi urbani, mobili e oggetti. L’artista presumeva infatti che il Modulor fornisse «alla scala umana una misura di armonia, universalmente applicabile all’architettura e alla meccani ca»: un uomo alto circa 183 cm, con un braccio alzato, fino a un’altezza di 226 cm, è inserito in un quadrato. Il rapporto tra la statura dell’uomo (183 cm) e la distanza dall’ombelico al suolo (113 cm) è pari a 20. Le Corbusier si è quindi ispirato a quell’armonia umanista, che proprio con i mezzi della geometria ha consentito a Leonardo, e solo a lui, di dare compimento grafico all’idea geniale di raffi gurare contemporaneamente l’homo ad quadratum e l’homo ad circulum, mettendo in relazione le due potenzialità geometriche in modo simultaneo e pertanto armonico. Ma ognuna con un centro, quasi a volerne sottolineare la pari importanza, senza priorità di sorta. Due centri, quindi. E due posizioni, sede dell’origine fisica (i genitali) e spirituale (l’ombelico); i quali a loro volta, nella doppia postura del corpo, generano il rapporto tra loro e simultaneamente tra le due forme geometriche perfette, che sembrano derivare le une dalle altre secondo un gioco di mutazione ed equivalenza. Una relazione che, in realtà, va ricostruita continuamente, se pur esplicitazione di una sintesi, rimasta insuperata, che sa realizzare, scrive Garin, «una convergenza mai più raggiunta di scavo scientifico e di raffigurazione pittorica. Anche questa pagina è un magico disegno fatto per illustrare le speculazioni scientifiche che occupavano la sua mente in quel momento».


Annalisa Perissa Torrini

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