domenica 16 settembre 2012

Una rilettura: Il codice perduto di Archimede

Sto rileggendo (dopo qualche anno) un libro uscito nel 2007 e relativo alla riscoperta del manoscritto C di Archimede di Siracusa. Eccolo qua:

Reviel Netz e William Noel    
Il codice perduto di Archimede
Rizzoli 2007, pp. 424


Nella seconda lettura si trovano meglio molte indicazioni di sicuro interesse, che avevo in gran parte dimenticato. Sarà la nuova maturità dei 40 anni... Condivido quindi le considerazioni di una recensione che avevo all'epoca appuntato (tratta da Galileo: giornale di scienza, all'URL http://www.galileonet.it/articles/4c32e1dc5fc52b3adf0022dc) 

Una prima riflessione è sulla fortuna di avere accesso alle opere dell'antichità classica. Prima della nascita della stampa, infatti, l'unico modo per avere una copia di un testo era appunto farne una copia a manoo. Se poi aggiungiamo le distruzioni più o meno volute che nel corso dei secoli hanno falcidiato le biblioteche, arriviamo a capire facilmente come spesso le nostre conoscenze siano più che altro frutto del caso. Prendiamo ad esempio i lavori di Archimede. Nel 1311 tutta la conoscenza diretta che si aveva della sua opera era contenuta in due soli manoscritti, il codice A e il codice B, entrambi appartenenti al papa e databili intorno al decimo secolo. Del codice B si persero immediatamente le tracce, fortunatamente dopo che era stato ricopiato; il codice A svanì nel 1564. Solo nel diciannovesimo secolo si scoprì in un monastero ortodosso in Palestina un terzo codice, sotto forma di palinsesto, che conteneva alcune opere prima a noi sconosciute come il Metodo. Lo studioso danese John Ludwig Heiberg curò una versione, anche se lacunosa visto il pessimo stato di conservazione della pergamena, e anche questa fu una fortuna: il manoscritto sparì nuovamente, per riapparire nel 1997 a un'asta, in condizioni ancora peggiori e addirittura falsificato con le immagini degli evangelisti dipinte sopra alcuni fogli. 

“Il codice perduto di Archimede” è la storia degli sforzi di questi ultimi dieci anni per riuscire a leggere anche le parti del testo che Heiberg non poté vedere, perché coperte dalla rilegatura, e delle nuove scoperte che sono state fatte. Gli autori provengono da esperienze completamente diverse: William Noel è il curatore della sezione manoscritti del Walters Museum di Baltimora, dove il codice è custodito per conto del miliardario che l'ha acquistato, menter Reviel Netz è un israeliano, professore di lettere classiche alla Stanford University ed esperto di matematica greca classica letta - o forse occorrerebbe dire "desunta", vista la difficoltà di comprensione dei palinsesti - direttamente negli originali. I due si alternano a raccontare la storia antica e recente del manoscritto, così come tutte le ipotesi che si possono fare sulle conoscenze di Archimede, che sembrano essere maggiori di quanto si potesse credere ancora nel secolo scorso. 

È possibile che l'entusiasmo di Netz, che per esempio si dice convinto che il Siracusano sia stata la prima persona a fare matematica combinatoria avendo come unica fonte una quasi illeggibile prima pagina del trattato sullo Stomachion, sia esagerato. Però questo entusiasmo è contagioso, e non solo ci fa capire come la filologia possa essere un campo davvero appassionante, ma ci dà anche alcune informazioni totalmente inaspettate sul modo di pensare degli antichi greci. Per esempio, i diagrammi medievali che accompagnano i testi matematici sono fatti per raffigurare con la maggior precisione possibile le figure di cui si parla: ma il palinsesto ha figure esplicitamente "sbagliate", come i lati dei poligoni inscritti in una circonferenza che non sono segmenti, ma linee curvate verso l'interno. Questo non è il risultato di un'imperizia dell'amanuense; al contrario, i matematici greci cercavano proprio di fare in modo che non ci fosse nulla che fosse "chiaramente visibile", per evitare di fare delle ipotesi errate basandosi solamente sul disegno.

Ma il libro non parla solamente di matematica, c'è anche tanta tecnologi. Per riuscire a tirare fuori informazione da quel povero testo che stava andando a pezzi sono state impiegate tecniche di ogni tipo, dall'analisi spettrale a varie frequenze luminose e nell'ultravioletto per creare immagini a falsi colori fino ad arrivare alla spettrografia a raggi X che permette di scoprire le tracce del ferro contenuto nell'inchiostro usato dall'amanuense, e quindi ottenere un'immagine di quanto era stato coperto dalle miniature aggiunte nel ventesimo secolo: un po' come quando si scoprono le versioni dei quadri prima che il pittore ci dipingesse di nuovo sopra, con la differenza che la precisione richiesta per riuscire a visualizzare le minuscole lettere greche deve essere molto maggiore.


Insomma una cosa da leggere e rileggere...

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