mercoledì 5 gennaio 2011

Le matematiche nel XV secolo [idee per un articolo]

Abacist vs. Algorismistda Gregor Reisch, Margarita Philosophica
Strassbourg, 1504

Nel panorama culturale del Quattrocento è consuetudine distinguere due tradizioni culturali, diverse nella concezione delle scienze matematiche e nell'uso applicativo.
Da una parte il sapere dei dotti, espresso in lingua latina e coltivato o nelle Università o nelle corti. Dall'altra la cultura pratica diffusa negli strati intermedi alfabetizzati: artigiani, mercanti, architetti, maestri d'abaco, idraulici, cartografi, meccanici, artiglieri e tutti gli altri tecnici, che usavano la lingua volgare e produssero una consistente trattatistica di matematica pratica.
I due mondi comunque rimasero sostanzialmente distinti e poco comunicanti, anche se non mancarono importanti interscambi, in vari ambiti, attraverso traduzioni da un idioma all'altro e interessanti corrispondenze e frequentazioni. Ad esempio alcuni celebri pittori, educati culturalmente all'interno della tradizione pratica e tecnica delle botteghe e delle scuole d'abaco, trovarono in umanisti e dotti matematici utili e validi intermediari. E' questo il caso della collaborazione di Piero della Francesca con i dotti di Sansepolcro che realizzarono le versioni latine del De Prospectiva Pingendi e del Libellus de Quinque Corporibus Regularibus, oltrer con la redazione di una versione latina delle opere di Archimede1.

In generale i due mondi rimasero separati, come dimostra il fatto che anche un artista geniale come Leonardo, si autodefiniva “omo sanza lettere”, ove con “lettere” s'allude alle lettere greche e latine, riservate alla cultura colta.
Nelle università italiane del XV secolo erano attivi gli insegnamenti per la realizzazione di quattro figure professionali: il maestro delle arti, il giurista, il medico e il teologo. Le arti liberali del trivio (grammatica, retorica, dialettica) e del quadrivio (aritmetica, geometria, astronomia, musica) erano soprattutto funzionli alla formazione di medici e teologi, che erano le figure più in vista, soprattutto dopo l'introduzione delle opere di Aristotele (l'Etica Nicomachea, la Physica, il De Anima, il De coelo, De generatione e corruptione, la Metaphysica) nei programmi del trivio, al punto da mettere in secondo piano le materie del quadrivio, coltivate perloppiù nelle facoltà di medicina, in stretta associazione con l'astrologia e la musica. Insomma un ruolo molto marginale. Anche quando sorsero gruppi di studiosi che posero in crisi il sistema filosofico di Aristotele (i francescani Roberto Grossatesta e Ruggero Bacone rivalutarono il ruolo della geometria come mezzo di conoscenza della natura; ad  Oxford Bradwardine impiegò le proporzioni per mostrare le contraddizioni della dinamica aristotelica, a Parigi Buridano e Nicola d'Oresme recuperarno la geometria per la spiegazione della teoria degli urti) la matematica era comunqque al servizio della filosofia, restando
comunque le discipline del quadrivio secondarie rispetto a quelle del trivio.

La matematica nelle Università italiane (Pisa, Bologna, Padova) si basava sullo studio di testi che riassumevano e commentavano alcuni greci, ellenistici e arabi, tradotti in latino (come il De institutione arithmetica di Boezio, la Sfera di Sacrobosco, l'Almagesto, soprattutto i primi tre libri degli Elementi di Euclide) più qualche testo coevo proveniente da Parigi e/o Oxford.
La febbrile attività di traduzione dall'arabo in latino che ebbe luogo a Toledo, Salamanca e Barcellona, ma anche in Sicilia nel corso del XII secolo aveva reso disponibili una quantità di opere estremamente vasta, ma il loro uso nella didattica universitaria fu decisamente  istretto, per vari motivi2. E ai classici si sostituirono dei compendi medievali dotti. Solo in epoca Umanistica, mediante l'instancabile opera di recupero dei codici greci, si concentrarono in Italia gran parte dei classici matematici più importanti (di tradizione greco-ellenistica e arabo-latina) soprattutto nelle biblioteche di Firenze, Venezia, Roma e Urbino. Iniziarono nel XV secolo le traduzioni latine di Euclide e di Archimede, e di studi condotti direttamente dai codici greci. La figura più importante dell'umanesimo matematico è senz'altro il Regiomontano che oltre a fondare la moderna trigonometria, presentò un vero e proprio progetto editoriale per la rinascita della matematica e dell'astronomia.
Parallelamente alla matematica dei dotti, nel '400 si sviluppò la tradizione delle scuole d'abaco3 e degli abacisti, che prese spunto più o meno direttamente dal Liber Abaci (1202) di Leonardo Pisano, detto Fibonacci, autentico modello del manuale di matematica applicata, scritto in latino che, però, non entrò mai nei curricola universitari. Dal Liber Abaci i mercanti ebbero un buon strumento con tutti i rudimenti algebrici per risolvere questioni riguardanti i cambi di valute, i baratti, gli interessi, gli sconti, i pesi e le misure, le leghe metalliche. Quest'opera costituì il “libro di testo” per le botteghe d'abaco del Centro e Nord Italia fino a tutto il XV secolo. In queste scuole (a volte istituite dagli stessi maestri, a volte dalle corporazioni, a volte pubbliche) ragazzi di 10-12 anni venivano formati in algebra, aritmetica e geometria. Il Trattato d'Abaco di Piero della Francesca è un po' anomalo: sebbene sia scritto in volgare allo scopo di esporre “alcune ragioni mercantesche commo baracti, meiti e
compagnie”, delle 128 carte di cui è composto, ben 48 sono dedicate alla geometrie e 56 all'algebra, mostrando grande perizia nel disegno e, soprattutto, conoscvenza diretta degli Elementi di Euclide. Si tratta con ogni probabilità di uno dei massimi livelli della matematica abachistica. Attraverso questi manuali e queste scuole anche i tecnici raggiunsero livelli notevoli di abilità matematiche, su questioni ignorate nella matematica delle università.

Scienza e tecnica restavano separate da un fossato linguistico e sociale.

1 - “l'oratore, poeta e retorico, greco e latino (suo assiduo consotio, e similmente conterraneo) maestro Matheo la reccò
in lingua latina, ornatissimamente, de verbo ad verbum, con esquisiti vocabuli” (L. Pacioli, Summa de arithmetica
geometria proportioni et proportionalità, Venetiis, Paganino de' Paganini, 1494)
2- Alcune motivazioni: la lenta circolazione dei manoscritti; l'incertezza delle versioni, realizzate spesso da persone poco competenti; il tramite arabo, dotato di ben altri strumenti matematici rispetto a quelli della cultura latina medievale; la scarsa importanza del quadrivio.
3- Il Medioevo aveva ereditato dal mondo antico una tavoletta di legno con i bordi rilevati e otto bacchette con palline mobili usate per i calcoli: l'abaco. Ma i trattati d'abaco non presupponevano l'uso di tale strumento: insegnavano a risolvere problemi commerciali tramite cacloli svolti su carta.

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